Berlusconi e quei motivi inconfessabili che lo portano a scegliere Bertolaso

27 Apr 2016 12:09 - di Carlo Ciccioli

Tutto si può  dire meno che io personalmente abbia pregiudizio e non abbia simpatia per Silvio Berlusconi. Fui l’unico deputato dell’allora Pdl, quando tutti i big si sottrassero, che si presentò in tivù nel salotto di Lilli Gruber a difenderlo, in contrapposizione a Rodotà,  dagli attacchi della sinistra sulla famosa lettera della signora Veronica a Repubblica. Ed uno di quelli che più ha creduto allora sulla necessità di un contenitore unico, forte di centrodestra da contrapporre al Pd. Ma soprattutto l’ultima fase del percorso politico di Berlusconi  è improponibile per uno che crede nelle idee, nei valori e nella necessità di una politica di destra.

 Il senso di onnipotenza di Berlusconi

Partiamo dal personaggio e soprattutto da quella frase con cui ha giustificato la necessità di perseguire l’appoggio alla candidatura di  Bertolaso a sindaco di Roma: «Dobbiamo mantenere la parola data». Se c’è una cosa che Berlusconi pragmaticamente non ha mai mantenuto è la parola data. Ricordiamo Gheddafi? C’era stato un patto, reciprocamente vantaggioso per la Libia e per l’Italia, ma poi vennero gli interessi   francesi, inglesi e americani e quel patto finì dimenticato sotto i bombardamenti. Quando Gheddafi fu ucciso Silvio esclamò «Sic transit gloria mundi!», pietra tombale della vicenda. Dalle candidature alle elezioni  politiche alle nomine dei sottosegretari e ministri e ai vertici degli Enti è stato tutto un turbinare di promesse non mantenute. Ma paradossalmente Silvio non è in malafede, bensì è la regola della politica, quando cambiano le condizioni, le promesse che non possono essere mantenute per motivi di forza maggiore, semplicemente non vengono mantenute. Pensa sempre di essere in buona fede ma poi finisce che non è così, e non ci si può fare niente. È così e basta. In realtà sulle decisioni pesa la personalità di Silvio Berlusconi che presenta caratteri di scarso controllo dell’onnipotenza. Tutti viaggiamo in un equilibrio tra l’espansione dell’io (l’onnipotenza) e la depressione dell’io (l’impotenza). Ci mettiamo sempre un po’ di nostro nelle decisioni. L’onnipotenza ti spinge a conquistare il mondo, la depressione ti spinge alla rinuncia e a non rischiare a intraprendere ogni progetto. Berlusconi ci prova sempre e in tutti i modi, dall’azienda alle donne, dai giudici ai politici, dallo sport ai capi di Stato. Spesso va bene, anche perché ha gli argomenti e le seduzioni giuste, qualche volta no, come sempre nella vita. Pensa che si può fare tutto, e non per malvagità, ma perché pensa che sia proprio così e questo fa parte della sua onnipotenza. Infatti non si dà pace quando qualcuno s’arrabbia con lui, che è sempre così generoso.

 Ma Bertolaso non funziona elettoralmente

Ma le cose non stanno esattamente così. E questo è il caso di specie. Bertolaso non funziona elettoralmente e questo è un dato in evidenza ed era un ripiego un po’ per tutti, sull’altare dell’unità del centrodestra. Quando le cose si sono inceppate era anche qui il momento di cambiare idea. Il problema è che Berlusconi nel 1994 portò in dote al centrodestra tre canali televisivi, due quotidiani, grandi aziende come Fininvest, Mediaset, case editrici di libri, una squadra di calcio, il Milan, risorse economiche illimitate e soprattutto il carisma dell’imprenditore non politico sceso in politica. In quel momento e per molti anni i suoi interessi hanno coinciso in grande parte con quelli di tutto il centrodestra e dell’Italia, al netto dei capricci occasionali dei vari Bossi, Follini, Casini e buon ultimo Fini. Ma negli ultimi anni il suo percorso lunghissimo, oltre vent’anni, ha conosciuto una parabola fisiologica, e ora i suoi interessi e quelli delle sue aziende non coincidono più con quelli del centrodestra ed anche degli italiani. Ed è qui che è emerso prepotente, come in passato, il Partito dell’Azienda, che dice sempre l’ultima parola su ogni decisione. Altro che ufficio politico di Forza Italia. Sono Confalonieri, Gianni Letta, Galliani, Ennio Doris, la figlia Marina e qualche altro familiare a condizionare e a determinare la decisione. Lì comincia e lì finisce. Non è un problema di “moderati”, perché a suo tempo sono andati bene sia Storace in Regione che Alemanno in Comune, i quali rispetto alla Meloni sono molto più caratterizzanti. Il problema è che i residui spazi di interlocuzione con il potere attuale, cioè Renzi, Berlusconi li vuol giocare per lui. Quindi la Meloni non deve andare al ballattaggio, molto meglio Giachetti nella trattativa. Se non fosse così,  Berlusconi non sarebbe più lui, non si renderebbe più conto delle cose, quindi peggio ancora. A vedere l’immagine fotografica di Berlusconi tutto vestito di nero, con gli occhiali scuri, che stringe la mano a Bertolaso e gli fa gli auguri sembra più uno iettatore in azione che un portafortuna. Quell’immagine infelice dice molto di più di qualunque ragionamento. E che Berlusconi sta nella fase del ripiegamento politico e, ahimè anche esistenziale è rappresentato dal fatto che intorno a lui ormai c’è solo un gruppo di donne isteriche che non fanno ragionamenti di qualsivoglia spessore politico, ma cercano di tutelare il (loro) fortino assediato. Perché se cade Berlusconi forse a lui non succede nulla, ma a loro sì, e quindi come alla conclusione di ogni “fenomeno spettacolare” cercano di aggrapparsi all’ultima zattera. Ma non è questo ciò che avremmo voluto noi che l’abbiamo sostenuto, non è questa certo la pagina migliore di Silvio e della sua pur contradditoria vita, non è questa la conclusione che merita il suo percorso. Va aiutato ad uscire da questo triste contesto, ma non possiamo neppure farci del male noi e soprattutto far del male agli italiani.

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