Camorra e Pd, piccoli giustizialisti (alla Pina Picierno) ora balbettano
I nostri lettori ricorderanno certamente la vicenda di Giorgio Magliocca, capogruppo provinciale nonché giovane sindaco di Alleanza Nazionale di Pignataro Maggiore, nel Casertano, arrestato nel marzo del 2011 con l’accusa di concorso esterno in associazione camorristica e riconosciuto innocente con sentenza ormai definitiva «perché il fatto non sussiste» dopo ben 11 mesi di detenzione, Una promettente carriera politica, la sua, spezzata da un clamoroso abbaglio giudiziario cui non fu estraneo l’odio politico. Che all’epoca aveva il volto dell’on. Pina Picierno, oggi pasdaran renziana ma demitiana di origine e franceschiniana di adozione. Fu proprio l’allora deputata nazionale, oggi europarlamentare, a far scattare le manette ai polsi di Magliocca con un’interrogazione parlamentare scritta tre anni prima, il cui contenuto orgogliosamente rivendicò non appena le sbarre si rinchiusero alle spalle del povero sindaco. In realtà, la fiera paladina della legalità si era inconsapevolmente prestata a una manovra di depistaggio, i cui ideatori sono tuttora nell’ombra. Avrebbe dovuto però immaginare che il suo attacco a Magliocca sarebbe apparso come un’obliqua risposta alle circostanziate denunce da questi presentate in merito ad alcuni appalti concessi dall’Amministrazione provinciale di Caserta, guidata da Sandro de Franciscis del Pd, tra cui spiccava quello aggiudicato a una società riconducibile a Pasquale Setola, fratello del famigerato Giuseppe, leader dell’ala stragista dei Casalesi. A condividere con la Picierno l’interrogazione fu l’on. Stefano Graziano, lo stesso che per uno strano scherzo del destino da un paio di giorni è sotto accusa per concorso esterno, proprio l’accusa mossa a Magliocca. I due sono stati a lungo alleati nelle vicende interne al Pd. Quando Graziano fu eletto al vertice regionale del partito, fu proprio la Picierno a darne l’annuncio con un entusiastico post su Fb: «Abbiamo eletto il nostro presidente. E che presidente!». Comprensibile, dunque, che dopo la notizia dell’incriminazione abbia atteso un paio di giorni – lei di solito così pronta a impartire la lezioncina di legalità – prima di esternare. E quando lo ha fatto, con un’intervista pubblicata sull’edizione napoletana di Repubblica, ha parlato con lingua di legno: distinguo, giustificazioni e buoni propositi. Davvero un’altra persona rispetto a quella che gioiva alle disgrazie di Magliocca o che si precipitava a Quarto per dare addosso ai Cinquestelle. Ai giustizialisti capita spesso di balbettare quando il boomerang dell’uso politico delle inchieste giudiziarie gli rimbalza in faccia. Sarà l’emozione. O, chissà, la vergogna.