Il punto – Ora il centrodestra non si faccia trivellare da Renzi
Che al centrodestra capiti di sbagliare, è cosa fin troppo risaputa. Che i suoi leader godano nel perseverare nell’errore, lo è un po’ meno. Eppure, è esattamente quel che è capitato all’indomani dello sciagurato (e fallito) referendum sulle trivelle, da essi appoggiato. Un centrodestra più consapevole del proprio ruolo non l’avrebbe mai fatto, specialmente in presenza di un quesito così astruso come quello propinato agli elettori, che giustamente lo hanno snobbato. E, soprattutto, una volta subita la sconfitta, ché di questo si tratta, l’avrebbe accettata senza rintanarsi in un rito autoassolutorio che lascia francamente senza parole. Lo lasci fare ai dirigenti grillini, che credono agli ufo e alle scie chimiche, o ai talebani dell’ecologismo, sempre pronti a cavalcare interessi antinazionali, o a quei settori del clero da tempo afoni sulle questioni dell’anima e sovente persino chiassosi sui temi politically correct. Siano costoro a spacciare la disfatta per vittoria e a parlare di «milioni di voti contro Renzi». Non la destra, che al contrario ha necessità di tornare a un sano realismo e a fare della difesa dei veri interessi nazionali la propria bandiera. I suoi leader hanno già compiuto un azzardo ad accodarsi ai professionisti del referendum perché hanno finito per far apparire il premier come unico riferimento raziocinante in uno scenario di isterici. Stiano ora attenti a non lasciarglielo per sempre ostinandosi a stare nel coro di chi canta vittoria per aver portato alle urne solo il 31 per cento degli elettori. Che è come ammettere che il resto, cioè la loro stragrande maggioranza, sta con Renzi. Per fortuna non è così. In quei milioni e milioni di italiani rimasti a casa domenica scorsa, sono tantissimi quelli che non hanno capito né apprezzato l’appoggio della destra al referendum mentre, all’interno di quel 31 per cento, sono davvero pochi quelli corsi ai seggi su sollecitazione di Salvini, Meloni e Brunetta. Un centrodestra privo di questa elementare consapevolezza non va da nessuna parte perché si vede lontano un miglio che ha sostituito la politica con la propaganda, la sostanza delle soluzioni alla fuffa da talk-show. È tempo di cambiare registro, uscire dal club degli urlatori e mettersi sul terreno dell’opposizione di governo, quella capace di contrapporre scelta a scelta. E senza neanche perdere troppo tempo perché il referendum di ottobre non è così lontano. Ed è quella la madre di tutte le battaglie. Altro che trivelle!