L’analisi – Professionisti antimafia? Sì, ma anche industria di mafia
Paolo Mieli (Corriere, 7 aprile) si è soffermato sulla vicenda siciliana di Confindustria che, in questi anni, ha vestito i panni antimafiosi, per poi essere scoperta come connessa o contigua con Mafia Spa (questa l’accusa della magistratura inquirente). E ne ha tratto la convinzione che essa costituisca l’inveramento della “profezia” di Leonardo Sciascia sui “professionisti dell’antimafia” (Corriere, 10 gennaio 1987), polemica originariamente diretta contro la promozione di Paolo Borsellino a procuratore Marsala. I due poi si chiarirono: aveva ragione Borsellino, come poi s’incaricò di attestare la mafia uccidendo lui e la sua scorta; ma lo sguardo lungo dello scrittore su altri e altro, il senso profondo delle sue parole, è valido e attualissimo. Ha ragione Mieli, ma non è l’unico aspetto della questione.
Mafia spa, la doppia morale di viale dell’Astronomia
Certo, fa impressione lo scostamento violento e urticante tra il dire e il fare, la doppia morale dei vari Montante, Helg, Lo Bello, Gemelli e della rete di confindustriali, rampanti, visibili, “impegnati” che, dalle cattedre di altisonanti incarichi conferiti in Viale dell’Astronomia, per anni hanno impartito lezioni al mondo su Legalitá e Antimafia; e continuano imperterriti, anche dopo avere perso i titoli di credibilità per farlo: Montante ha risposto a Mieli «non mi dimetto», il “gemello” Lo Bello, presidente di Unioncamere, lo difende. Ma la vicenda è più complessa. Purtroppo. Perché la nidiata di imprenditori siciliani, allevati prima dalla Marcegaglia e poi da Squinzi, che fino all’ultimo giorno ha difeso quello che Attilio Bolzoni ha definito “il sistema Montante” (che farà il neo-presidente Boccia?) è solo l’ultimo capitolo di una storia che viene da lontano e attraversa la vita della Repubblica, oltre che della Sicilia. Se si analizza con freddezza il continuum politico ed economico dell’Isola e dell’Italia repubblicana, non si può che giungere a una conclusione: il ceto industriale siciliano, quello visibile e che conta, quello che tiene le relazioni con la politica, le istituzioni, il potere, che ha gestito rapporti e influenze, è stato quasi sempre associato, complice o vicino a Cosa Nostra. O accusato di esserlo. Non ce lo dice la cronaca, la lettura dei giornali: la visione che fa capire i fenomeni è quella che sa guardare al presente, ma partendo dal passato: c’è un filo rosso che lega la pubblicizzazione delle miniere improduttive e decotte di cui gli industriali si disfecero e che caricarono sulla regione, le mani sulla città e il sacco edilizio di Palermo con la regia di Vito Ciancimino, le esattorie dei cugini Salvo, il caso Mattei, la colonizzazione “sporca” da parte dell’industria petrolifera, i quattro cavalieri (Costanzo, Graci, Finocchiaro e Rendo) che controllavano appalti ed edilizia in società con le coop rosse (contro cui tuonò il generale Dalla Chiesa poco prima di essere assassinato), l’ecomafia, la gestione delle discariche e il mercato dei rifiuti, i silenzi e l’acquiescenza su pizzo ed estorsioni, rotto da Libero Grassi (che pagò con la vita), l'”industria della salute” di Michele Aiello, la condanna di Totò Cuffaro, la vicenda Tutino, l’uscita di scena di Lucia Borsellino e il defenestramento del giudice Marino dalla giunta Crocetta; fino alle dimissioni dal governo Renzi di Federica Guidi per l’esplodere dello scandalo petrolifero che vede protagonisti lei e il “marito” siculo Gianluca Gemelli, ambedue confindustriali e lui protagonista del “sistema Montante”.
L’antimafia è il nuovo brand della crema imprenditoriale
Come si vede, non esiste solo la narrazione politico-imprenditoriale Dell’Utri-Mangano-Berlusconi privilegiata a sinistra. C’è, invece, uno sfondo di tutti questi avvenimenti, uno sfondo unico: è la storia degli industriali siciliani (e non solo), dal tempo in cui erano guidati da Mimì La Cavera e assistiti dall’uomo dei misteri, l’avvocato Vito Guarrasi, fino alla pirandelliana antimafia indagata per mafia di Antonello Montante e Ivan Lo Bello. Sono fatti, cuciti l’uno all’altro, su cui si staglia l’ombra lunga di Confindustria-Sicilia o Sicindustria come, guarda caso, è tornata a chiamarsi come al tempo di La Cavera e Guarrasi, per volontà di Montante; con la costante di avere in pancia aziende mafiose o accusate di mafia e lo stesso ruolo di garante di equilibri e assetti lungo l’asse Palermo- Roma. L’antimafia è solo l’ultimo brand inventato dalla “crema” imprenditoriale per surrogare e integrare le debolezze odierne del potere politico; ma le aziende socie di Confindustria e di Cosa Nostra ci sono sempre state, sono una costante della nostra storia nazionale e dell’economia mafiosa. E, sul piano politico, il patronage al “sistema Montante” e al governo Crocetta assicurato dal pd Beppe Lumia, da sempre commissario antimafia dialogante con pezzi di magistratura, non è una novità a sinistra: è lo stesso patronage che il leader comunista Emanuele Macaluso, perito minerario, assicurava alla Sicindustria di La Cavera e Guarrasi al tempo del controverso “governo Milazzo”, facendosene garante a Roma persino con Palmiro Togliatti. Una visione del ruolo della sinistra rispetto ai quali, anni dopo, Pio La Torre fu uomo di “rottura” da eliminare: fu eliminato. In proposito è istruttivo leggere la relazione di minoranza del Msi in Commissione Antimafia, firmata da Beppe Niccolai, al tempo lodata proprio da Leonardo Sciascia e adesso il bel libro di Fabio Granata Meglio Un Giorno- La destra antimafia e la bandiera di Paolo Borsellino, edito da Eclettica.
La verità scomoda raccontata da Bolzoni
In una recente audizione dinanzi alla Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi, il giornalista Attilio Bolzoni, con un intervento scottante e che ha però avuto scarsa eco (lo trovate qui: htpp://www.sicilianazione.eu/montante-confindustria-siciliana-la-mafia-lantimafia-e-la-dittatura-degli-affari-audizione-del-giornalista-attilio-bolzoni-alla-commissione-antimafia-nazionale/) ha fatto due osservazioni molto serie alle quali mi permetto di dare un senso storico-politico: Confindustria non ha espulso – o almeno, non se n’è saputo nulla, aggiungiamo noi, neppure in passato- alcun suo associato condannato per mafia; e non applica il suo Codice etico, tanto declamato proprio da Montante e Lo Bello, che prevede la sospensione dalle cariche dei suoi rappresentanti indagati per mafia. Perché ? Oltre il “caso Montante”, abbiamo provato a spiegarlo qui.