Boss della mafia muore a 100 anni. Il questore vieta il funerale pubblico
Era l’unico padrino della “cupola” mafiosa rimasto in libertà, anche se il suo nome – Procopio Di Maggio – non aveva raggiunto la stessa sinistra fama di Totò Riina o di Bernardo Provenzano. Come loro, tuttavia, della mafia era un capo vero. Anzi un patriarca, e come tale se n’è andato da questa terra alla veneranda età di cento anni dopo essere scampato a ben due attentati, nel 1983 e nel 1991.
Procopio Di Maggio era l’unico padrino libero
Don Procopio (così gli si rivolgevano) è morto nella sua casa in piazza Martin Teresa a Cinisi, nel Palermitano. Proprio qui, il 6 gennaio scorso, i familiari di Di Maggio avevano organizzato una festa in un locale con parenti e amici con tanto di giochi pirotecnici che non erano passati inosservati in paese. Cinisi, del resto, è il paese di mafia dove è nato Peppino Impastato, il giovane militante proletario ucciso per il suo impegno contro Cosa Nostra su ordine diretto di Tano Badalamenti («Tano seduto», per la radio di Impastato) a ulteriore conferma di come certi contesti siano capaci di partire il bene e il male.
Assolto come mandante di 20 omicidi di mafia
Procopio Di Maggio era stato condannato al maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma era uscito indenne dall’accusa di aver ordinato una ventina di omicidi. Al figlio Gaspare, che è al carcere duro, non è andata così bene. Ancora peggio è andata per l’altro figlio, Giuseppe, inghiottito dalla lupara bianca. La mafia ne fece perdere le tracce anni fa. Un vero padrino, dunque, che ha portato dalla sua anche i figli come è di regola nelle vere saghe mafiose. Proprio per questo il questore di Palermo ha emesso un’ordinanza per vietare i funerali pubblici. La salma del boss, infatti, potrà essere trasportata da casa fino al cimitero.