L’analisi – Giorgia Meloni, la destra da ricostruire e il fattore “F”
Il dibattito intorno alla destra può rivelarsi utile alla coalizione e alla politica in generale a patto che trovi il coraggio di partire da una premessa “impopolare”. Questa: la destra non risorgerà in tempi brevi se prima non affronta il fattore “F”. Dove “F”, appunto, sta per Fini, tornato Uomo nero e stavolta non per assonanze storiche – anzi! – ma perché infilato nei panni del kamikaze che si è fatto esplodere riducendo la destra a un campo di macerie. Ed è stato così anche per chi scrive, tanto da non seguirlo in quella sconclusionata avventura che fu Futuro è Libertà. Al nome di Fini, tuttavia, sono legate le più importanti tappe della destra degli ultimi trent’anni e questo dovrebbe diffidare chiunque dal pensare a lui alla stregua di un fastidioso calcolo renale. La storia – e chi viene del Msi dovrebbe saperlo bene – non si espelle né procede per salti e rimozioni. Tanto è vero che oggi la destra semplicemente non esiste. A meno che non la si voglia esaurire nella rappresentazione che ne dà FdI le cui liste, al di là di Roma, non vanno oltre l’1 e qualcosa a Napoli e a Torino e il 2 e un po’ a Milano. Ma il fattore “F” riguarda l’intera coalizione, il cui palmares è desolatamente vuoto dopo il big bang del PdL:”zero tituli”. Segno evidente che Berlusconi e Fini sono stati i Mogol-Battisti del centrodestra: vincenti e indimenticabili solo in coppia. Già, perché se Fini da ex-missino è ora missing, cioè scomparso, non è che a Berlusconi (in bocca al lupo, presidente!) sia andata assai meglio: prima ha perso le elezioni del 2013, poi è stato espulso dal Senato e infine è stato piantato in asso da Alfano e Verdini, gli stessi che avevano epurato gli ex-An dalle liste per intrupparvi propri fedelissimi, grazie ai quali oggi Renzi siede a Palazzo Chigi. Anche questa è storia. E fa francamente un po’ ridere il desiderio di metterla tra parentesi in nome di un presentismo senza sbocchi. La “rottamazione” non abita a destra. Per ragioni culturali, non anagrafiche. Lo tenga presente Giorgia Meloni, se non vuole che la propria leadership somigli all’effetto di una bolla mediatica. Nel ’93 il Msi aveva il vento in poppa, ma nel ’95 fondammo An perché l’Italia ci chiedeva di chiudere il dopoguerra. Oggi la sfida consiste nel sagomare il ruolo della destra al tempo del tripolarismo e di fondare una nuova cultura nazionale al tempo della globalizzazione. Di tale esigenza si faccia interprete la Meloni, ma senza chiusure aprioristiche né rendite di posizione. Solo così può rinascere la destra di governo, quella – per intenderci – che ha già dimostrato di saper riempire le piazze di gente e di voti le urne.