Ma quale omofobia, l’Isis conferma: «Mateen era un nostro soldato in Usa»
Sembra che non sia un delitto di omofobia, ma di terrorismo islamico. Man mano che emergono particolari, la pista jihadista si fa sempre più consistente. Omar Mateen, il killer della strage di Orlando, sarebbe stato due volte in Arabia Saudita: la prima nel 2011 e la seconda nel 2012. Lo riportano la Cnn e la Nbc, citando fonti investigative. Sentito dalla Nbc, il portavoce del ministero degli Interni di Riad avrebbe confermato un viaggio di Omar per partecipare a un pellegrinaggio alla Mecca. E solo nel 2013 il killer è stato per la prima volta segnalato all’Fbi dopo la denuncia di alcuni colleghi di lavoro. E a quanto pare per la strage di Orlando sono indagate altre persone: lo ha detto il procuratore federale. «C’è un’indagine penale su altre persone in connessione con la sparatoria nel club», ha detto. Come si diceva, è ormai certo che Mateen sia un terrorista islamico: la polizia di Orlando ha confermato che il killer ha giurato fedeltà all’Isis. La conferma viene dal capo della polizia, John Mina, il quale in conferenza stampa ha detto anche che il killer, Omar Mateen, ha cercato di negoziare con le autorità. E poi lo confermano gli stessi fondamentalisti: il killer del Pulse nightclub era «uno dei soldati del Califfato in America». Lo ribadisce al-Bayan, l’organo di propaganda ufficiale dell’Isis in lingua inglese, riferisce il Site.
Mateen era stato due volte in Arabia Saudita
A quanto si apprende ancora Omar Mateen «pregava in moschea tre, quattro volte a settimana e prendeva parte alle cerimonie serali, recentemente anche con il figlio piccolo». Lo afferma l’imam del luogo di culto, Syed Shafeeq Rahman, frequentato da Mateen, che ha visto per l’ultima volta il 29enne venerdì scorso. Il killer di Orlando non era molto socievole: «Finita la preghiera se ne andava, non socializzava con nessuno. Non è mai sembrato un violento», aggiunge il religioso. Straziante il messaggio del padre di Mateen, che non sa darsi pace: «Non so perché lo abbia fatto. Non ho mai capito che aveva l’odio nel cuore. Se avessi saputo le sue intenzioni, lo avrei fermato», ha scritto il padre del killer in un comunicato diretto al popolo in Afghanistan, suo Paese d’origine. «Mio figlio era un bravo ragazzo, con una moglie e un bambino. Lo vidi il giorno prima della strage, non vidi il male nei suoi occhi. Sono addolorato e l’ho detto al popolo americano», si legge nel comunicato online. Sul fronte delle indagini, una terza arma da fuoco, oltre alle due recuperate sulla scena della strage al locale gay di Orlando, è stata trovata dentro l’auto del killer. Lo riferisce un portavoce dell’Atf (Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives) in conferenza stampa ad Orlando. Intanto monta un a polemica sull’operato della polizia: «La decisione di entrare in azione è stata difficile, ma il blitz è stato deciso quando era evidente che la vita degli ostaggi era in pericolo. In questo modo abbiamo salvato molte vite». Così il capo della Polizia di Orlando in conferenza stampa, dopo che è spuntata l’ipotesi di fuoco amico all’interno del club gay teatro della strage di sabato sera. Secondo quanto scrive il New York Times, «non è chiaro se alcune delle vittime siano state accidentalmente colpite dagli agenti». Il quotidiano cita fonti investigative.