Paolo Borsellino, 24 anni dopo. Il profumo di libertà oltre le ideologie
Paolo Borsellino 24 anni dopo. Il magistrato siciliano, simbolo della lotta alla mafia, è morto il 19 luglio 1992, insieme a cinque uomini della sua scorta (Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina). Saltati in aria per lo scoppio di un’auto bomba parcheggiata sotto casa della mamma del giudice in via D’Amelio. In quella torrida domenica di 24 anni fa Borsellino era andato a pranzo dal suo amico Pippo Tricoli, leader regionale del Msi e docente di Storia Contemporanea all’Ateneo di Palermo, poi era corso dall’anziana mamma per il suo compleanno, in via D’Amelio.
Borsellino e il profumo di libertà
«Sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale…», è una delle più belle citazioni di Paolo Borsellino passata come un testimone di bocca in bocca da quel maledetto 19 luglio. È questo il modo più autentico di onorare la memoria del magistrato, molto più delle commemorazioni rituali del capo dello Stato che a ogni anniversario rilascia sempre le stesse dichiarazioni, “copia” e “incolla” dall’anno precedente. «Onorare Borsellino significa continuare la sua battaglia. Lo Stato e la società hanno gli anticorpi per colpire e sconfiggere tutte le mafie. Il diritto e l’ordinamento democratico costituiscono garanzie, oltre che irrinunciabili presidi di civiltà», anche quest’anno Sergio Mattarella non è stato da meno.
Il ricordo di Manfredi
Il suo ultimo discorso
Paolo Borsellino, ben sapendo che la sua ultima ora era vicina («Per me è arrivato il tritolo», disse all’amico Tricoli), il 25 giugno del 1992 tenne il suo ultimo intervento a un dibattito organizzato da Micromega alla Biblioteca comunale di Palermo. «Io sono venuto questa sera soprattutto per ascoltare perché ritengo che mai come in questo momento sia necessario che io ricordi a me stesso e ricordi a voi che sono un magistrato. E che il mio primo dovere non è quello di utilizzare le mie opinioni e le mie conoscenze partecipando a convegni e dibattiti ma quello di utilizzare le mie opinioni e le mie conoscenze nel mio lavoro. In questo momento – aggiunse Borsellino – oltre che magistrato, io sono testimone».
L’amicizia con Falcone
«Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto tante sue confidenze, debbo per prima cosa assemblarle e riferirle all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell’immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita».
L’ultimo intervento pubblico
Nel suo ultimo intervento pubblico Borsellino ricorda e condivide l’affermazione di Antonino Caponnetto secondo cui Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. «La magistratura, che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l’anno prima…». Il riferimento è all’articolo di Leonardo Sciascia sul Corriere della Sera che bollava Borsellino « come un professionista dell’antimafia, l’amico Orlando come professionista della politica, dell’antimafia nella politica».
L’approdo a Roma al ministero di Giustizia
Borsellino ricorda poi l’approdo di Falcone alla procura di Palermo e la collaborazione con il ministero di Grazia e Giustizia guidato da Claudio Martelli. «Lo fece, e questo lo posso dire sì prima di essere ascoltato dal giudice, non perché aspirasse a un posto privilegiato, non perché si era innamorato dei socialisti, ma perché a un certo punto della sua vita ritenne di poter continuare a svolgere a Roma un ruolo importante e decisivo per la lotta alla criminalità mafiosa. Cercò di ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato quelle esperienze del pool antimafia che erano nate artigianalmente, senza che la legge le prevedesse e senza che la legge, anche nei momenti di maggiore successo, le sostenesse». E la mafia ha preparato e attuato l’attentato di Capaci del 23 maggio – conclude Borsellino – proprio nel momento in cui si erano concretizzate tutte le condizioni perché Falcone, nonostante la violenta opposizione di buona parte del Csm, fosse ormai a un passo dal diventare il direttore nazionale antimafia».