L’ultima della Cassazione: valide le nozze via internet se registrate in Pakistan
La Corte di Cassazione ci ha abituato alle sentenze più strampalate che cozzano con la logica e il buonsenso. Ma, evidentemente, vuole stupirci ancora di più dimostrando – è questo il caso – che le regole italiane, rigidamente e assurdamente burocratiche, valgono, appunto, solo per gli italiani ma non per gli stranieri. Ecco allora che la Suprema Corte ha stabilito che basta una connessione internet a sancire un’unione, a patto che il Paese dove viene officiata riconosca questa modalità “a distanza”. Già nel giudizio di merito i magistrati avevano stabilito la validità per il nostro ordinamento del matrimonio tra una cittadina italiana e un cittadino pakistano, avvenuto per “via telematica”, alla presenza di testimoni, e già riconosciuto come valido dalla legge pakistana.
La pronuncia nasce dal contenzioso con il ministero dell’Interno che si era aperto nel 2012, quando il Comune di San Giovanni in Persiceto, alle porte di Bologna, si era rifiutato di trascrivere l’atto di matrimonio.
La donna aveva fatto ricorso in Tribunale, che ne aveva accolto la richiesta con la motivazione che il matrimonio era stato «celebrato secondo le modalità e nelle forme previste dalla legge pakistana».
Il giorno del matrimonio, infatti, si era collegata a internet alla presenza di due testimoni, mentre lo sposo era presente alla celebrazione officiata dall’autorità pakistana, che ne aveva registrato l’atto alcuni giorni dopo.
Pertanto, a giudizio del Tribunale, il rifiuto dell’ufficiale di stato civile italiano era illegittimo, anche in considerazione che la stessa legge italiana prevede eccezioni alla presenza di entrambi gli sposi davanti al celebrante.
Il successivo reclamo del ministero dell’Interno era stato respinto anche dalla Corte d’Appello che aveva ritenuto che «l’espressione dei libero consenso» alle nozze vi era stato, seppure “a distanza”.
La Cassazione – nella sentenza 15343 della prima sezione civile, depositata il 25 luglio – ha detto l’ultimo sì: «Se l’atto matrimoniale è valido per l’ordinamento straniero, in quanto da esso considerato idoneo a rappresentare il consenso matrimoniale in modo consapevole, esso non può ritenersi contrastante con l’ordine pubblico solo perché celebrato in forma non prevista dall’ordinamento italiano».
Il collegio – lo stesso che di recente ha detto sì alla stepchild adoption, presieduto dal giudice Salvatore Di Palma – rimarca che in realtà pure il nostro legislatore ammette «la celebrazione inter absentes in determinati casi», nei quali ricorrono «i requisiti minimi per la giuridica configurabilità del matrimonio medesimo» che sono «la manifestazione di una volontà matrimoniale da parte di due persone di sesso diverso, in presenza di un ufficiale celebrante» (in questo casa l’autorità pakistana). La Corte cita anche un caso analogo di 10 anni fa, in cui la Cassazione ha affermato il diritto al ricongiungimento familiare a due coniugi pakistani che avevano celebrato il matrimonio al telefono.