Monito di Kerry a Erdogan: «La Nato vigilerà sulla democrazia in Turchia»
Alla fine, alla luce del clamore suscitato, il Washington Post è stato costretto ad ammettere di essere incorso in una gaffe e a rettificare quanto attribuito al segretario di Stato americano, John Kerry, da una propria breaking news («L’appartenenza della Turchia alla Nato potrebbe essere a rischio»). Frase in realtà molto diversa da quella realmente pronunciata davanti ai ministri degli Esteri Ue a Bruxelles. Che è la seguente: «La Nato vigilerà sul comportamento democratrico della Turchia». Un annuncio, dunque, più che un monito o una minaccia al premier turco Erdogan.
Il “Washington Post”: «Kerry non ha detto che Ankara è fuori dalla Nato»
In realtà, la clamorosa dichiarazione (poi rettificata) attribuita a Kerry dal Washington era risultata probabile alla luce del riavvicinamento in corso tra Erdogan e Putin, annunciato prima da una lettere di scuse al Cremlino per il jet russo abbattuto qualche mese fa e quindi culminato nella telefonata tra i due immediatamente dopo il golpe fallito di venerdi scorso. Tutto lasciava insomma pensare che l’attivismo di Erdogan, ormai padrone incontrastato della Turchia, avesse colto di sorpresa l’amministrazione Obama costretta ora a minacciare, attraverso Kerry, l’espulsione di Ankara dalla Nato come deterrente. Rettifiche a parte, la partita, di per sè già molto complessa, è resa ancor più complicata dalla presenza sul territorio americano di Fetullah Gulen, l’imam miliardario che Erdogan considera l’ispiratore del golpe sventato. Ne ha chiesto già la testa, ma Washington ha rifiutato. Nessuno può prevedere quanto potrà pesare questo singolo aspetto nel futuro del rapporto tra i due Paesi. Prima, infatti, bisognerebbe capire se Erdogan considera la consegna di Gulen una condizione pregiudiziale per il prosieguo dell’alleanza o se, al contrario, la utilizza come un pretesto per metterla in discussione e semmai romperla. In entrambi i casi, qualsiasi atteggiamento assumerà l’amministrazione Obama è destinato a condizionare la sfida per la Casa Bianca tra Donald Trump e Hillary Clinton.
Ma resta il contenzioso tra Usa e Turchia
Il prossimo presidente dovrà infatti lavorare molto per recuperare agli Stati Uniti un ruolo protagonista nell’area mediorientale. Il riavvicinamento di Erdogan a Putin potrebbe infatti avere immediati sulla situazione in Siria, difesa incondizionatamente dalla Russia. Se Erdogan facesse cadere la sua pregiudiziale il presidente siriano Bashar al Assad, è chiaro che gli equilbri politici e militari in quella martoriata regione si modificherebbero a tutto vantaggio di Mosca. Un motivo in più per ritenere provvidenziale la rettifica del Washington Post: difficilmente, infatti, le parole dell'”uscente” Kerry avrebbero potuto impegnare il futuro inquilino della Casa Bianca.