Riecco Italia-Germania, l’eterna sfida che ha fatto la storia del calcio
Rieccola Italia-Germania, l’eterna sfida. Un appuntamento con la Nemesi più che una classica del calcio europeo. Germania vs Italia, un duello che ne racchiude tanti: politici, militari, economici. A uscirne ammaccati, quasi sempre noi. Non nel calcio, però, dove spesso sono i tedeschi a dover chinare la testa. Fu così anche nella notte epica di quel 17 giugno del ’70. Stadio Azteca di Città del Messico: semifinale mundial. Chi vince contenderà la coppa Rimet al Brasile di Pelé. È l’occasione che l’Italia attende dal 1938, l’anno del mondiale francese, l’ultimo prima della guerra, l’ultimo vinto da noi. In Messico, invece, la Germania Ovest (all’epoca ce n’erano due), arriva con la ferita ancora aperta della finale persa quattro anni prima a Wembley contro gli inglesi. I panzer hanno sete di rivincita. E lì, sull’altare dell’Azteca, tutto dice che le vittime sacrificali siamo noi.
Italia-Germania: quando il pallone ci riscatta agli occhi dei tedeschi
Ma non il dio del calcio, che dispone diversamente. Boninsegna fa gol dopo sette minuti e sembra fatta, perché nei restanti 83 la Germania costruisce molto e raccoglie niente. Siamo in pieno recupero quando Karl Heinz Schnellinger, lentiggini tedesche e una maglia da terzino del Milan, vuole avvicinarsi agli spogliatoi per sottrarsi ai riti del dopopartita. Ma una mano invisibile lo conduce nella nostra area di rigore proprio mentre atterra il pallone destinato a gelare gli italiani: 1 a 1 e tutto da rifare. Si va ai supplementari per la mezz’ora di calcio più intensa della storia. Un’altalena di gol ed emozioni: Müller (vantaggio tedesco), Burnich (pareggio).Cambio di campo e ultimo quarto d’ora a prova di coronarie. «Riva, Riva tiro- rete!», urla Nando Martellini dai microfoni Rai e il vantaggio ora è italiano. Ma Müller ci infilza ancora, con la complicità di Rivera: di nuovo parità. Dura solo un solo minuto, giusto il tempo di un passaggio di capitan Facchetti a Boninsegna. Poi è il dio del calcio a fare il resto: il pallone carambola al centro dell’area in attesa di incrociare il piede magico che lo sospingerà in fondo alla rete. È quello di Rivera: portiere da un lato, pallone dall’altro. Fa 4 a 3 per noi. I nove minuti che mancano ora sono troppo pochi anche per l’orgoglio teutonico. Il triplice fischio finale del nippo-peruviano Yamasaki è una liberazione per tutti. La Germania è sconfitta, l’Italia è in finale con il Brasile, che ci strapazzerà (4 a 1) in quello stesso stadio. Agli eroici azzurri un platonico titolo di vicecampeon e tanti pomodori al ritorno in patria. All’epoca, il secondo era solo il primo dei perdenti.
Dal 4 a 3 dei “messicani” alla doppietta di Balotelli
Arriveremo puntuali all’appuntamento con la gloria solo dodici anni dopo, al mondiale spagnolo. Italia-Germania questa volta è la finale. E non c’è storia: 3 a 1 per noi con l’urlo di gioia di Tardelli che squarcia il Bernabeu. Siamo tricampeones, come i brasiliani. E nel 2006 alzeremo ancora quella coppa proprio a Berlino dopo aver sconfitto ai rigori i supponenti francesi. Ma in finale eravamo arrivati sbarrando il passo ai padroni di casa. Anche qui ai supplementari: 2 a 0 per noi, Germania kaputt! E kaputt fu agli Europei di Polonia e Ucraina, dove il dio del calcio aveva il volto e la rabbia di Mario Balotelli. È sua la doppietta che spedisce la Germania negli inferi e noi alla gloria della finale malamente persa contro la Spagna. A quattro anni da allora l’ennesimo capitolo della storia infinita. L’Italia proletaria e la Germania campione del mondo ancora una volta l’una di fronte all’altra su suolo francese. Un’altra sfida senza appello. Come sempre, teutonici favoriti. Ma c’è chi giura che il dio del calcio non è mai uscito dal campo.