Usa, arrestato l’attivista Mckesson, l’aspirante leader dei neri in rivolta
Come in tutte le sollevazioni popolari che si rispettino anche questa rivolta dei neri d’America ha il suo paladino. Il suo leader. Nel caso del movimento Black lives matter, che difende la causa dei neri contro gli abusi della polizia, il capitano che guida le marce di protesta e la rivendicazione dell’orgoglio afroamericano è un ex educatore ed amministratore del settore scolastico diventato attivista per i diritti civili usando le reti sociali e con aspirazioni dichiaratamente politiche.
Deray Mckesson, aspirante leader del movimento dei neri
Si tratta di Deray Mckesson, giovane leader in ascesa del movimento Black lives matter, che difende la causa dei neri contro la prevaricazione violenta e le degenerazioni letali dell’abuso di potere esercitato dalla polizia. Sabato sera, in coincidenza con il suo 31 compleanno, alcuni agenti l’hanno arrestato insieme ad altre 30 persone a Baton Rouge, in Lousiana, mentre marciava per protestare contro l’uccisione del 37enne afroamericano Alton Sterling, un venditore ambulante di cd freddato da un poliziotto dopo essere stato immobilizzato a terra. Un arresto che, evidentemente, non fa che rinvigorire e propagandare la sua popolarità e la sua statura di leader movimentista. E lui, da bravo aspirante numero uno, una volta fermato ha cominciato a filmare in diretta quanto gli stava accadendo, sfruttando in tutta la sua forza dirompente il potere del web e dei social media: l’arma digitale che gli attivisti stanno brandendo sempre di più per documentare la brutalità della azioni di polizia verso le minoranze.
Ecco chi è Deray Mckesson
Nativo di Baltimora, ha cominciato a scendere in campo a Ferguson, in Missouri, dopo la morte di Michael Brown nel 2014, un nero senza armi ucciso da un agente perché sospettato di un furto. Lascia il lavoro, si trasferisce lì, dove diviene nel giro di breve un attivista a tempo pieno, cominciando a viaggiare per il Paese e usando Twitter e Instagram per le sue campagne contro l’odio razziale, come la strage di Charleston in South Carolina nel giugno 2015, e le discriminazioni o le violenze delle polizia contro gli afroamericani, come Freddie Gray, uscito massacrato da un furgone della polizia di Baltimora due mesi prima. Nello stesso anno Mckesson con altri attivisti lancia ”Mapping Police Violence”, per mappare i dati delle persone uccise dalla polizia nel 2014, e ”Campaign Zero”, un piano in 10 punti per la riforma della polizia, tra cui la depenalizzazione del possesso di marijuana, del vagabondaggio, del consumo di alcol in strada, tutti reati che per l’aspirante leader movimentista non minaccerebbero la sicurezza pubblica, ma che a sua detta sarebbero spesso usati come pretesto dai poliziotti per attaccare i neri. Lo scorso febbraio Mckesson ha corso per diventare sindaco della sua città, ma ha perso le primarie democratiche finendo al sesto posto con il 2% dei voti. Tuttavia ha segnato un piccolo record su Crowdpac, la piattaforma che aiuta i candidati nella raccolta fondi: in un’ora e mezzo ha raccolto oltre 100 donazioni e alla fine ha messo insieme 20 mila dollari. Un successo che potrebbe aprire una strada anche per il suo movimento, criticato per la carenza organizzativa e tattica. E non è solo il movimento ad essere criticato: Mckesson ha anche i suoi detrattori, infatti, che – tra l’altro – lo accusano di essere un anarchico contro la polizia i cui commenti alimentano la protesta e la violenza nel Paese.