“No al burkini in nome della laicità”: la sfida francese all’islamizzazione

20 Ago 2016 8:14 - di Redazione
burkini marocco
La discussione sul burkini, vietato da quasi venti sindaci sui litorali francesi, ha riportato l’attenzione sull’evoluzione di una caratteristica fondante della Repubblica, la sua distanza da tutte le religioni, sancita dalla legge del 9 dicembre 1905, ormai inadeguata alla nuova realtà: «La Francia ha riscoperto recentemente le sue radici cristiane e, se questa idea prevale sul rispetto di una legge nata in contrapposizione alle appartenenze religiose, si rischia di cadere nella discriminazione», avverte Philippe Portier, direttore del Gruppo Società, Religioni e Laicità del Centro nazionale di Ricerca Scientifica, si legge sul Corriere della Sera.

 L’immigrazione islamica ha cambiato la laicità francese

«Il cambiamento riguarda gli spazi sociali ed è avvenuto negli ultimi 20 anni. È intervenuta la legge sul burqa, che proibisce il velo integrale non soltanto negli uffici pubblici, ma dappertutto escluse le abitazioni e le moschee. Spazi un tempo liberi sono diventati controllati. Prima erano sanzionati solo i dipendenti pubblici, adesso anche gli studenti che vanno in classe indossando croci, kippah o velo».

Il burkini è una sfida alla laicità

«All’intransigenza cattolica del XVIII e XIX secolo era subentrata l’intransigenza della Repubblica. Ma quando la comunità musulmana è diventata sempre più importante, la reazione è stata quella di ricercare una coesione culturale e c’è stata un’inedita sovrapposizione tra i discorsi sulla laicità e quelli sulle radici cristiane. Aveva cominciato l’estrema destra, ma da una decina d’anni la questione si è riproposta con forza anche a sinistra». Paura dell’Islam? «Non solo. Anche delle fratture interne. E della decadenza». Se la Francia avrà l’Olimpiade del 2024 vieterà alle atlete musulmane di gareggiare con velo e burkini? «No, non infrangerà le regole internazionali. Inoltre c’è un’ambivalenza nella laicità: lo Stato ha scoperto di avere bisogno dei culti religiosi per gestire la società».

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