L’addio alle vittime. Il vescovo: «Non uccide il sisma ma le opere dell’uomo»

30 Ago 2016 19:09 - di Guglielmo Federici

Le bare sono arrivate dalle 15, portate a spalla dai volontari sotto una pioggia battente iniziata fin dal primo pomeriggio. Lo strazio non abbandona un solo momento le esequie di Stato che si stanno celebrando all’Istituto Don Minozzi, dove dalle 18 sotto due grandi tendoni, il vescovo di Rieti Domenico Pompili, officia il rito solenne.  Otto minuti per leggere tutti i nomi delle vittime del sisma. Poi un applauso, lungo. Fiori, palloncini bianchi e piccoli peluche adornano le piccole bare bianche delle vittime più piccole. Un vigile del fuoco ha issato una statua del Cristo durante i preparativi dei funerali. E’ il crocifisso ligneo salvato dal crollo di una delle chiese di Amatrice distrutte dal sisma. Sono presenti il  presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il l premier Matteo Renzi, i  presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso.

L’omelia del Vescovo per le vittime del sisma

«Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!», esordisce il vescovo di Rieti nell’omelia, invocando poi l’aiuto e la presenza di tutti, soprattutto quando si saranno spenti i riflettori: «Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta.Abitiamo una terra verde, terra di pastori. Dobbiamo inventarci una forma nuova di presenza che salvaguardi la forza amorevole e tenace del pastore». Durante le esequie un uomo di circa 70 anni ha avuto un malore ed è crollato a terra appena fuori del tendone dove si stavano svolgono i funerali.  È stato subito soccorso dalla Croce Rossa e portato via sotto la pioggia in barella, cosciente. Il vescovo ha proseguito: «La ricostruzione non sia una querelle politica o una forma di sciacallaggio di varia natura, ma quel che deve essere: far rivivere una bellezza di cui siamo custodi», esclama col cuore, aggiungendo che «non basteranno giorni, ci vorranno anni. Sopra a tutto è richiesta una qualità di cui Gesù si fa interprete: la mitezza. Che è una “forza” distante sia dalla muscolare ingenuità di chi promette tutto all’istante, sia dall’inerzia rassegnata di chi già si volge altrove. La mitezza dice, invece, di un coinvolgimento tenero e tenace, di un abbraccio forte e discreto, di un impegno a breve, medio e lungo periodo. Solo così – ha aggiunto il vescovo – la ricostruzione non sarà una querelle politica». 

«Dov’è Dio»

Un passo della sua omelia ha toccato il cuore: «Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio – ha detto il vescovo nella sua breve ma intensa omelia -. Al contrario, si invita a guardare in quell’unica direzione come possibile salvezza. In realtà, la domanda “Dov’ è Dio?” non va posta dopo, ma va posta prima e comunque sempre per interpretare la vita e la morte». Una lettura commossa ha concluso l’omelia del vescovo: «Come si ricava da un messaggio in forma poetica che mi è giunto oltre alle preghiere: “Di Geremia, il profeta, rimbomba la voce: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più. Non ti abbandoneremo uomo dell’Appennino: l’ombra della tua casa tornerà a giocare sulla natia terra. Dell’alba ancor ti stupirai».

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