Il referendum squassa il Pd. I dissidenti: «Renzi cade? No problem»

6 Ago 2016 15:57 - di Marzio Dalla Casta

L’effetto è quello di un tappo che salta. E nel Pd il tappo è stato a lungo il clima da tregua armata interrotta periodicamente da interviste piccate, tweet maliziosi e post malinconici. Poi è arrivato il documento in cui dieci parlamentari – tra cui Manconi, Mucchetti e Tocci – hanno messo nero su bianco il loro dissenso sul referendum e, finalmente, il tappo è saltato e la polemica divampa. «O il Parlamento cambia Italicum o lo cambieremo con i cittadini votando “no” al referendum», avverte in su tweet, Miguel Gotor, esponente bersaniano, fresco di dimissioni dalla commissione di Vigilanza Rai in segno di proteste contro le nomine dei nuovi direttori dei tiggì targati Renzi.

La minoranza dem vuole modificare l’Italicum

Venata invece da qualche sfumatura di convenienza la posizione di Enrico Rossi, governatore della Toscana, e candidato alla segreteria del Pd al prossimo congresso, costretto dalla condizione di aspirante leader ad acrobatici esercizi di “cerchiobottismo”: si dice d’accordo a riformare l’Italicum («non è bene che ci sia troppa concentrazione di poteri nelle mani del premier»), per poi rimettersi nella scia del premier nel chiedere che «alla fine delle elezioni si sappia chi ha vinto». Ma il siluro più insidioso lo lancia Roberto Speranza dalle colonne di Repubblica. L’ex-capogruppo alla Camera subordina esplicitamente il proprio voto sul referendum al destino dell’Italicum («considero l’Italicum e la riforma costituzionale inscindibili») e – fatto più importante – non sembra preoccuparsi eccesivamente delle sorti di Renzi e del suo governo in caso di vittoria del “no”: «Se cade l’esecutivo? Dopo il premier non c’è il diluvio».

La Boschi: «Le modifiche dopo il referendum»

Parole, queste di Speranza, che consegnano l’immagine di un Pd prossimo alla resa dei conti. «Quelli della minoranza interna parlano come quelli dell’opposizione», constata sconsolato il renziano Dario Parrini. Ma è una lettura che ai piani alti il Pd si guarda bene dall’accreditare. Anzi, il vicesegretario Lorenzo Guerini definisce «una forzatura»  la rappresentazione di un Pd «perennemente diviso». «C’è dialettica interna e nessuno caccia nessuno, ma – avverte – l’Italicum è ormai legge ed è stato votato dal Parlamento». Si fa sentire anche Maria Elena Boschi, intervenuta nel Cuneese a sostegno del “sì”: «Qualcosa della riforma si può anche perfezionare dopo, ma il “no” – dice – sarebbe drammatico».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *