Roberti: “Così in Campania scoprimmo i clan infiltrati nel post-terremoto”

28 Ago 2016 13:07 - di Roberto Frulli

Nell’indagine sulla ricostruzione post-terremoto, da pm a Napoli, «ritrovammo le stesse magagne, gli stessi imbrogli. Addirittura imparammo a distinguere il calcestruzzo “gettato” da quello “pompato“. Le imprese legate ai clan di camorra impiegavano il primo, più scadente e meno sicuro, ma registravano di aver usato il secondo, più sicuro e compatto». Franco Roberti, oggi procuratore nazionale antimafia, all’epoca magistrato in Campania, racconta a Repubblica come i clan mafiosi si infiltrarono fra le imprese della ricostruzione. E spiega come venivano scoperti.
Roberti sostiene che la criminalità organizzata non ha mai smesso di puntare alla ricostruzione post terremoto per arricchirsi e anche per riciclare i proventi di altre attività illecite ma assicura anche che l’esperienza accumulata dagli uffici giudiziari oggi consente di monitorare perfettamente. E di prevenire questi rischi che, pure, sottolinea, «sono sempre alti. La ricostruzione post terremoto è storicamente il boccone ghiotto di consorterie criminali e comitati d’affari collusi. Però va detto che abbiamo alle spalle gruppi di contrasto consolidati, esperienza, attività importanti. E abbiamo il modello dell’Aquila, che ha funzionato. Siamo pronti, non si ripeterà lo scandalo dell’Irpinia».
«Dietro quelle migliaia di morti c’erano la selvaggia cementificazione e gli affari dei clan: all’inizio individuammo i Nuvoletta», ricorda Roberti, giudice istruttore a Sant’Angelo dei Lombardi all’epoca del terremoto dell’Irpinia del 1980.
«Senza voler minimamente affrettare giudizi, vedo che anche qui nel 2016 sono tanti gli edifici sbriciolati, anche pubblici. Troppi – osserva Roberti con l’aria di chi si è già fatto un’idea precisa – L’esperienza e le acquisizioni scientifiche e giudiziarie ci dicono che se una casa è costruita bene, se sono state rispettate le norme antisismiche, di fronte a un evento drammatico quel corpo di fabbrica può lesionarsi, incrinarsi, ma non può polverizzarsi e implodere. Ecco perché, senza azzardare previsioni, immagino ci sia molto da approfondire».
Già, ma chi dovrà approfondire? Secondo il procuratore «non basta l’Anac». E spiega anche perché: «l’Anticorruzione fa bene il suo lavoro di prevenzione della corruzione, nella acquisizione e gestione degli appalti, mentre la Procura nazionale svolge il suo monitoraggio sugli eventuali collegamenti mafiosi delle imprese che concorrono agli appalti».

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