11 settembre, niente cause contro l’Arabia Saudita: c’é il veto di Obama

24 Set 2016 8:23 - di Redazione
Ha aspettato fino all’ultimo minuto consentitegli dalla legge. Poi Barack Obama ha messo il veto su una controversa norma approvata di recente all’unanimità dal Congresso — quella che consente alle famiglie delle vittime dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 di ricorrere in tribunale contro il governo dell’Arabia Saudita — esponendosi per la prima volta nei suoi otto anni alla Casa Bianca alla prospettiva di essere scavalcato dal Parlamento americano: quasi certamente, infatti, il veto presidenziale sarà cancellato da un altro voto a larga maggioranza delle Camere, si legge su “il Corriere della Sera”.

Veto di Obama sarà superato da un voto bipartisan

Per anni il Parlamento a maggioranza repubblicana ha legato le mani di Obama nella attività di governo. Ma l’umiliazione di un veto rispedito al mittente anche dai suoi compagni di partito, i democratici, il presidente non l’ha mai subito. Ha deciso di esporsi allo smacco, a pochi mesi dalla fine del suo mandato, perché è convinto che questa legge diventerà un precedente assai pericoloso per il governo Usa, i suoi diplomatici e i militari che operano all’estero: c’è il rischio di rappresaglie giudiziarie da parte di altri Paesi, alleati compresi. Washington potrebbe essere chiamata a rispondere nei tribunali di varie nazioni dei «danni collaterali» — come l’uccisione di civili — provocati da missioni antiterrorismo. Il caso più sensibile è quello dei «droni», gli aerei robot che, quando attaccano un bersaglio come un convoglio di auto nelle quali viaggiano capi delllsis o di Al Qaeda, spesso colpiscono anche innocenti, come gli autisti. Quanto la questione sia sensibile lo si è visto nel recente accordo per l’indennizzo alla famiglia di Lo Porto. Washington ha pagato ma ha tenuto a sottolineare che si è trattato di una scelta volontaria, non si un obbligo di diritto intemazionale.

11 settembre 2001 resta ferita aperta

Le preoccupazioni di Obama sono fondate, ma nel clima della vigilia elettorale il Congresso le ha ignorate. Lo «speaker» della Camera, il repubblicano Paul Ryan, ma anche la leader democratica Nancy Pelosi riconoscono le ragioni della Casa Bianca ma non cambiano rotta. Obama sperava in un ripensamento che non c’è stato. Poi ha aspettato fino all’ultimo sperando che, col Parlamento prossimo allo scioglimento per il voto dell’8 novembre, la questione sarebbe tornata in aula solo dopo le elezioni. Ma il Congresso chiuderà i battenti il 30 settembre e la pressione per un voto immediato è fortìssima.

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