Cinque anni senza Enzo Erra, al servizio del Msi con intelligenza e rigore

21 Set 2016 14:48 - di Antonio Pannullo

Cinque anni fa moriva a Roma Enzo Erra, uno dei protagonisti della vita politica e culturale del Movimento Sociale Italiano, che quest’anno festeggia i 70 anni della sua fondazione, avvenuta il 26 dicembre 1946. Erra in realtà non partecipò alla fondazione del Msi, perché si trovava a Napoli, sua città natale, dove era ritornato dopo il suo impegno nella Repubblica Sociale Italiana, dove aveva servito come ufficiale 17enne nella divisione San Marco e dove era scampato fortunosamente – a Magenta – alla fucilazione da parte dei “liberatori”. Però vi si iscrisse nel maggio del 1947, appena giunto a Roma da Napoli. Giornalista, scrittore, pensatore, spiritualista, ma soprattutto rivoluzionario del pensiero, Erra ben presto si distinse nel Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori, organizzazione del Msi, del quale poi divenne anche segretario. Secondo molti racconti, Erra fu anche colui che propose per il Msi il simbolo della fiamma tricolore, mutuandolo da quello degli Arditi della Grande Guerra, simbolo che poi fu usato dal Msi già per le elezioni del 1948. In questi anni “eroici”, dopo la guerra, durante i quali i giovani del Msi praticamente egemonizzavano le piazze italiane con le rivendicazioni per Trieste, Erra portò avanti la sua lotta sia sul fronte politico sia su quello giornalistico e culturale. Fece parte del movimento “I figli del Sole”, fu processato insieme ad altri – e assolto – per ricostituzione del partito fascista per via di certi articoli che aveva scritto, diventando un protagonista indiscusso della storia della fiamma tricolore. Era e fu sempre un intransigente su certi valori, la sua oratoria era travolgente.

Erra partecipò al convegno di studi a Roma sul fascismo

Personalmente, ne ho un distinto ricordo quando partecipò, a Roma, a un convegno di studi sul fascismo, organizzato dall’università californiana di Berkeley e dalla Fondazione Volpe, dal titolo “Il fascismo: passato e presente”. Tra i relatori c’erano Maurice Bardeche, Jamers Gregor, Thomas Molnar, Nino Tripodi e altri, tra cui Giano Accame, Augusto Del Noce, Marcello Veneziani, Gaetano Rasi e altri. Erra, fu tra i primi a raccontare in modo veritiero le vicende della guerra e della resistenza: classe 1926, come si è detto fuggì da Napoli sui mezzi militari tedeschi per arruolarsi nella Repubblica, e raccontò di aver constatato che le pretese quattro giornate di Napoli contro i tedeschi in realtà non ci furono mai. I tedeschi si ritirarono per l’arrivo dell’Armata americana, e non certo per l’opera dei partigiani che al Sud non si vide mai. Su questo Erra ci ha lasciato anche un libro. Erra ha anche un altro grandissimo merito, misconosciuto: quello di aver fatto conoscere ai giovani italiani Julius Evola, che a sua volta conobbe attraverso Massimo Scaligero, scrittore, esoterista, spiritualista col quale Erra collaborò per anni. Fondò così nel 1948 la rivista La Sfida (insieme a personaggi divenuti poi anch’essi noti per il loro impegno politico e culturale quali Fausto Gianfranceschi, Pino Rauti, Egidio Sterpa) che si caratterizzò – oltre che per le polemiche di attualità, interne ed esterne – anche per diffondere una visione del mondo spiritualista ed eroica, antitetica a quella democomunista. Cessata per ragioni economiche La Sfida, fondò nel 1950 un’altra rivista, preziosissima dal punto di vista culturale, Imperium, che anch’essa però cessò le pubblicazioni dopo poco più di un anno. Ma Erra non si limitava a scrivere, sulle sue riviste e sui periodici di quell’area politica quali Asso di Bastoni o Lotta politica. Era dirigente dell’organizzazione giovanile del Msi, partecipava in prima persona a tutte le iniziative anche di piazza. Per questa sua attività, come accennato prima, fu anche arrestato nel gennaio 1951 per il processo cosiddetto dei Far (Fasci di azione rivoluzionaria). Al congresso di Viareggio del gennaio 1954 sostenne la mozione “Per una più grande Italia”, guidata da Pino Romualdi ed Ernesto De Marzio e con la partecipazione di Pino Rauti e altri collaboratori. Nel novembre 1956, al Congresso di Milano, per tener fede alla sua posizione di azione all’interno del partito, si schierò con l’allora segretario nazionale (riconfermato) Michelini, contro Almirante. Ma la linea atlantista filoamericana e tendenzialmente conservatrice del partito stava stretta al ragazzo di Salò Erra, che nel 1958, contrastando l’accordo tra Michelini e Almirante, si dimise dal Msi e – dopo un fallito tentativo autonomo – si dedicò interamente alla professione giornalistica lavorando per i quotidiani Roma di Napoli e La Notte di Milano, e altre pubblicazioni, tra cui ovviamente il nostro Secolo d’Italia e tra cui anche la rivoluzionaria rivista della Nuova Destra Elementi.

Erra contestò le tesi di Renzo De Felice sul fascismo

Rientrato nel Msi dopo la scomparsa di Almirante, sostenne la corrente di Domenico Mennitti divenendo così alleato di Pino Rauti, che guidava la corrente di “Andare Oltre”, rientrando nella direzione nazionale del Msi. Dopo le dimissioni di Rauti nel luglio 1991, collaborò con la segreteria Fini fino alla trasformazione del Msi in Alleanza Nazionale, avvenuta a Fiuggi nel 1995, che però non condivise. Tra i suoi libri citiamo La sindrome di Fiuggi del 2003, La Patria che visse due volte del 2004, Dove vanno le ideologie?, del 2005, L’Italia nella luce e nell’ombra del 2007, oltre naturalmente al citato Napoli, le quattro giornate che non ci furono. Vorremmo citare anche, dopo l’uscita del monumentale trattato di Renzo De Felice sul fascismo, la risposta , insieme a Bardeche, Eisemann, Freund, Gregor e Giovanni Volpe, il volume Sei risposte a Renzo De Felice (1976), in cui, tra l’altro, si oppose contestò la tesi defeliciana secondo cui il fascismo era un fenomeno definitivamente tramontato ed irripetibile. Lo storico Giuseppe Parlato, in un saggio sulle origini del neofascismo definisce Erra «uno dei più lucidi intellettuali del mondo missino». Per approfondire l’opera e il pensiero di Erra si può consultare anche il libro di Antonio Carioti Gli orfani di Salò della Mursia. Dopo la sua morte, il professor Primo Siena disse: “Con lui perdo un camerata, protagonista di una verde stagione giovanile, spregiudicata, indimenticabile, vissuta allegramente contro il “politicamente corretto. Onore ad un combattente indomito, un italiano vero in un mondo di italioti”. Ma vogliamo concludere questo ricordo, necessariamente incompleto e lacunoso, con un articolo che lui pubblicò nelle pagine di Imperium, intitolato Stile, che oggi sembra una profezia del fallimento della destra: «Abbiamo dovuto affrontare l’unico, vero pericolo, che potesse minacciare la vita della nostra Idea. La guerra perduta, le stragi, le persecuzioni non hanno nulla potuto contro di essa. Nulla potrebbero se si ripetessero in futuro, anche aggravandosi fino a stroncare fisicamente tutti i suoi assertori. Il pericolo, l’unico, il vero, era ed è nel tradimento interno; nel tradimento sottile, ammantato di retorica e di apologia, rivestito di parole scintillanti e di splendidi gesti. Un tradimento che può spingere il suo pugnale fin dove la spada del nemico non potrà mai giungere: nello spirito della rivoluzione».

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