
Ma se a Torino vinceva il Pd il Salone del libro avrebbe mai traslocato?
Home livello 2 - di Lisa Turri - 13 Settembre 2016 alle 15:54
Alla fine, nella guerra tra Torino e Milano per il Salone del libro, è venuto fuori il “lodo Franceschini“: un unico evento in entrambe le città con modalità tutte da definire. Torino ospita il Salone dal 1988 e la decisione dell’Aie (Associazione italiana editori) di spostare la manifestazione a Milano è stata vissuta come un diktat. Il mondo editoriale si è spaccato, con undici editori dimissionari che hanno puntato l’indice contro la mancanza di collegialità nella gestione della vicenda. Si tratta di editori piccoli e medi, che costituiscono l’ossatura dell’editoria italiana: Add, e/o, Iperborea, LiberAria editrice, Lindau, minimum fax, Nottetempo, Nutrimenti, Sur, 66thand2nd, ObarraO. Ha spiegato Marco Cassini, fondatore di Minimum fax: «Gli editori avrebbero dovuto essere interpellati in modo più serio e documentato, con una riunione plenaria, mentre la maniera avventurosa e avventata con cui si è presa questa decisione fa pensare che si sia voluto approfittare di contingenze come il cambio di amministrazione a Torino e le vicende giudiziarie del Salone». Anche Feltrinelli ha votato contro lo “scippo” di Milano, assieme a Marcos y Marcos, Gallucci, Polillo, Manni e due editori scolastici, uno dei quali è Principato.
Ancora non è chiaro se la mediazione del ministro della Cultura Franceschini riuscirà a mettere pace tra le due città concorrenti e tra gli editori dissidenti e l’Aie: Giuseppe Laterza si dice entusiasta della soluzione di compromesso ma Ernesto Ferrero, ex direttore editoriale del Salone del Libro di Torino, la giudica impraticabile: “Di festival in Italia ce ne sono già tanti, cosa fanno gli editori: andranno contemporaneamente a Rho e al Lingotto? Oppure andranno solo a Milano e Torino curerà gli eventi?”. Il rischio concreto è che il Salone del Libro venga alla fine ridimensionato anziché potenziato, e la location è molto importante nel definire una tradizione culturale. Non vi è dubbio poi che lo sgarbo a Torino sia stato possibile anche per l’avvento al Comune di un giovane sindaco, Chiara Appendino, con scarsa esperienza politica. Quanto al lancio del “modello Milano” sappiamo che si tratta di un’operazione che, con l’Expo, ha avuto la benedizione del premier Matteo Renzi e ha visto i media schierati con vigore a favore di una presunta Milano renaissance. Proviamo allora a immaginare un esito diverso delle ultime amministrative: Fassino vincitore a Torino e Parisi vincitore a Milano. Dove sarebbe andato a finire il Salone del Libro? E’ davvero assurdo pensare che forse non ci si sarebbe spesi più di tanto per favorire il capoluogo lombardo? Sia nel 2015 che nel 2016 le edizioni del Salone del Libro hanno chiuso con incassi record per gli espositori e con un boom di visitatori. Da dove nasce allora la necessità di spostare l’evento? Forse dalla fusione Mondadori e Rizzoli, i due colossi editoriali milanesi? In media il pubblico spende per l’evento del Salone del libro 28milioni di euro. Un business che fa gola, cui si aggiunge il finanziamento statale. Ora Franceschini dice che il governo ha subìto una situazione creata dagli editori, ma sappiamo che la politica non è indifferente ai giochi di mercato. E allora è lecito ripetere la domanda: che sarebbe successo se Fassino fosse stato rieletto a Torino e Parisi avesse prevalso su Sala a Milano?
di Lisa Turri