12enne racconta l’orrore dell’Isis: «Ci stupravano, ci minacciavano. Volevo morire»
Orrore. Rabbia. Disperazione. Ad ogni ora che passa, ad ogni notizia che si aggiunge, ad ogni nuovo dettaglio che trapela sulla barbarie inflitta dall’Isis nei luoghi dove i miliziani del terrore hanno imposto il loro brutale dominio, la linea di confine della drammaticità della situazione – in Siria, come in Libia e in Iraq – sposta il suo raggio d’azione e il terget delle vittime, dalle giovani e giovanissime yazide ridotte in schiavitù, alle bambine di diverse nazionalità sequestrate e abusate a Sirte. E sempre di più oltre il confine dell’inaccettabile.
12enne eritrea sopravvissuta racconta l’orrore dell’Isis
L’ultima conferma arriva dal disperato racconto di una ragazzina appena 12enne, una delle tante vittime della brutalità dei miliziani agli ordini del Califfo al Baghdadi, e che rientra in un gruppo di undici donne eritree, fortunosamente e fortunatamente liberate recentemente dalle forze libiche impegnate nella campagna militare per la liberazione della città costiera dallo Stato Islamico, e che hanno raccontato al sito Euronews l’orrore della loro reclusione. Sopravvissute che hanno patito un inferno lungo un anno e mezzo, trascorso nelle mani dell’Isis a Sirte. Un calvario, ha riferito il particolare la dodicenne, che attualmente si trova a Misurata, fatto di abusi fisici e soprusi psicologici, di umiliazioni e violenze fisiche. «Gli uomini dell’Isis ci aggredivano e noi non potevamo reagire. Se ci rifiutavamo, prima ci legavano e poi ci violentavano di nuovo».
Donne e bambine stuprate, minacciate, terrorizzate
Una via crucis dell’orrore che ha attraversato tutte le tappe possibili – e inimaginabili – dell’orrore e della sopraffazione: una strada che sembrava verso uscita, dove le speranze di salvezza si affievolino ogni ora più, ad ogni nuova giornata di terrore e violenza. «Hanno fatto tutto quello che hanno voluto – prosegue la ragazzina il suo racconto a Euronews –; ci hanno vendute, ci hanno minacciate di passarci ad altra gente. Ho pregato di morire, perché morire sarebbe stato meglio che vivere con lo Stato islamico. Per questo ci siamo buttati dal terzo piano di un edificio». Un tentativo di fuga folle e disperato, nel corso del quale la giovane si è procurata qualche ferita, mentre la madre si è fratturata le gambe. Ma i segni che le resteranno addosso vanno oltre la carne e le ossa, penetrano nell’animo: e lasciano cicatrice indelebili che continueranno a sanguinare ancora a lungo…