La basilica di S. Benedetto come quella di Assisi. Una ferita alla nostra storia
Le immagini del crollo della basilica di San Benedetto a Norcia hanno riportato alla memoria di tutti quelle dello sbriciolamento della basilica di Assisi nel 1997. I cattolici pregano San Benedetto patrono d’Europa così come all’epoca pregarono San Francesco patrono d’Italia. Inutile negarlo: lo sfregio del sisma al nostro patrimonio artistico e religioso fa male, produce angoscia e dolore. C’è in primo luogo la pietas per le vittime, certo. C’è l’inquietudine per questo Appennino che trema e che potrebbe sconvolgere definitivamente l’assetto geografico dell’Italia centrale, condannando allo spopolamento quei centri che sono impressi nella nostra identità profonda, agglomerati di case che ci ricordano il presepe di Greccio, che costituiscono il paesaggio familiare cui siamo affezionati e legati.
Oltre a tutto ciò c’è però il lutto per le opere d’arte distrutte. La basilica di San Benedetto, di cui dopo la forte scossa di stamani rimane in piedi soltanto la facciata, sorgeva su quella che secondo la tradizione era la casa natale dei santi Benedetto e Scolastica, nati nel 480 d.C. da una nobile famiglia, come riferisce san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi. Nel giugno del 1966 papa Paolo VI l’ha elevata alla dignità di basilica minore.
In occasione dei lavori giubilari del 2000, importanti modifiche sono state apportate all’interno della basilica: la pavimentazione, l’altare maggiore, il nuovo accesso alla cripta, la sistemazione dell’area archeologica sottostante, i lavori di adeguamento dell’ex monastero benedettino. Dal 2 dicembre 2000 era amministrata dalla comunità benedettina Maria Sedes Sapientiae, guidata da padre Cassian Folsom. “Noi monaci stiamo tutti bene, ma i nostri cuori vanno subito a chi è stato colpito, e i frati del monastero cercano di capire se qualcuno ha bisogno dell’estrema unzione”, ha detto il vicepriore, padre Benedetto. “Ci affidiamo come sempre alle vostre preghiere e al vostro supporto”.
Tremano le chiese e non solo in Umbria: a Roma fa scalpore la notizia della chiusura della basilica di San Paolo fuori le mura dove ci sono stati crolli per fortuna non gravi, calcinacci sono caduti su una delle navate di San Lorenzo fuori le mura, anch’essa chiusa per precauzione. Nelle chiese dell’Umbria, annuncia il cardinale Gualtiero Bassetti,non si celebreranno messe in questi giorni, nonostante la festività di Ognissanti. Era già toccato al monastero di Sant’Eutizio e a San Salvatore a Campi di Norcia. Tra quei rosoni romanici, tra quelle pietre andate in fumo, il monachesimo occidentale, pilastro della civiltà europea, ha lasciato tracce indelebili, contribuendo con l’opera paziente degli amanuensi alla trasmissione dell’eredità classica.
Vedendo andare giù tutto questo avvertiamo l’opera poderosa dei secoli che ci hanno preceduto. Rimpiangiamo, con la bellezza perduta, anche la storia che abbiamo trascurato o ignorato o minimizzato. Quelle macerie ci ricordano che la storia non è poi così inutile, anche in tempi travolti dall’etica utilitarista. E tra la paura di ciò che potrà ancora succedere e la speranza che con questa scossa l’incubo possa definitivamente finire riaffiora la verità di ciò che Giacomo Leopardi (i cui manoscritti sono stati trasferiti da Visso a Bologna) scriveva all’amico Pietro Giordani nel 1828: “Mi comincia a stomacare il superbo disprezzo che qui si professa di ogni bello e di ogni letteratura: massimamente che non mi entra poi nel cervello che la sommità del sapere umano stia nel saper la politica e la statistica… Così avviene che il dilettevole mi pare utile sopra tutti gli utili, e la letteratura più utile veramente e certamente di queste discipline secchissime”.