“Basta immigrati”: l’Ungheria al voto sfida i burocrati di Bruxelles

1 Ott 2016 8:11 - di Redazione
Orban e Barroso
L’ordine parte via radio e sms, «allarme rosso, cercano di passare la barriera». Il rombo delle jeep Hummer e dei camion MAN made in Germany delle forze di sicurezza ungheresi rompe ogni notte il silenzio nell’ordinata cittadina di Asotthalom a un passo dalla frontiera con la Serbia. Elmetti e stivali in keviar, visori notturni e armi in pugno, agenti e guardie confinarie accorrono. «Abbiamo mezzi moderni, sensori ed elicotteri che vedono ogni movimento a terra, ma i passatori di clandestini cercano con droni punti deboli del confine», dice Zsolt Guiyas, comandante della polizia locale, si legge su “la Repubblica“.

Ungheria di Orban al voto sui migranti

Stanotte i soldati sono arrivati prima, «però ieri 110 clandestini sono entrati così», aggiunge il colonnello Balazs della polizia di frontiera. In questo clima da assedio e difesa della fortezza Europa, l’Ungheria del popolarissimo premier nazionalconservatore Viktor Orbàn va a votare domenica 2 ottobre. Domanda dura: «Volete o no che la Ue imponga quote di ripartizione di migranti senza parlare con le autorità sovrane nazionali?». Vittoria scontata, incertezze solo sul quorum. Mentre elogia Donald Trump, Orbàn scommette tutto. Cerca più popolarità, sfida Bruxelles, si propone come leader dei nuovi nazionalconservatori europei. «Tutto sotto controllo, non passeranno», grida un soldato al walkie-talkie. «Restate pronti, elicotteri, caccia dell’aviazione e sensori sono in allerta», risponde la centrale. La barriera-muro esiste da un anno, «dai 391 mila ingressi illegali siamo scesi a 17mila circa, ma sono sempre più rispetto al 2011», ammonisce il colonnello Balazs. Pausa sigaretta, poi nuovo allarme rosso, gli Hummer sgommano verso altrove.

Ungheria sotto assedio dei migranti

Secondo Orbàn, e nei sondaggi 8 ungheresi su 10 sono con lui, l’Europa si difende cosi o sparirà. «È una nuova cortina di ferro, uno schiaffo ai diritti umani», sostiene Marta Parvadi del “Comitato Helsinki”. Ma la maggior parte delle persone non la pensa così. «Sono camionista da anni, prima di Orbàn me li trovavo a bordo, minacciavano con pugnali», narra l’ipertatuato Laci. Il governo ostenta certezze. «Non siamo xenofobi, difendiamo le frontiere Schengen ed europee secondo i trattati», mi dice il portavoce e “spin doctor” di Orbàn, Zoltàn Kovàcs, nel suo ufficio a Via Garibaldi civico 2, nel maestoso centro della Budapest che non dorme mai.

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