Cucchi, i medici sottovalutarono l’inazione ma sarebbe morto comunque

7 Ott 2016 13:07 - di Paolo Lami

Stefano Cucchi non si sarebbe salvato. Neanche se i medici del Pertini avessero correttamente diagnosticato – cosa che, «colposamente», non fecero – la sindrome da inazione da cui il geometra romano era affetto. Sono queste le conclusioni a cui sono giunti, nel processo d’appello bis, i giudici della III Corte di Assise di Roma che hanno assolto dal reato di omicidio colposo il primario dell’ospedale romano Pertini, Aldo Fierro, e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo finiti alla sbarra con l’accusa di avere avuto responsabilità nella morte di Stefano Cucchi arrestato nella capitale per droga nell’ottobre 2009 e morto una settimana dopo in ospedale.
Per i magistrati romani, così come emerge ora dalle motivazioni della sentenza che ha sollevato un vespaio di polemiche, «appare logicamente poco probabile che Cucchi si sarebbe salvato» anche se è un dato di fatto, pacificamente riconosciuto dalla Corte, che i medici non diagnosticarono la sindrome da inanizione «da cui il paziente era affetto». E questo portò i sanitari a non «inquadrare il caso nelle sue linee generali e, conseguentemente» a non «attuare i presidi terapeutici necessari».
Detto questo, quel che è certo, per i giudici del processo di appello bis sulla morte del geometra romano, è che «è possibile individuare la causa della morte nella sindrome da inanizione». Una morte, scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza, «causata da un’insufficiente alimentazione e idratazione iniziata prima dell’arresto alla quale devono aggiungersi le patologie da cui era affetto (epilessia, tossicodipendenza e riferito morbo celiaco), lo stress per i dolori delle lesioni lombo-sacrali e un “quasi” digiuno di protesta».
Tutti questi elementi, concomitanti, per i giudici «hanno contribuito ad aggravare lo stato di deperimento organico in cui il paziente già si trovava a causa della grave denutrizione da cui era affetto».
Dunque per i giudici dell’appello bis è l’alterazione dei processi metabolici, determinati dall’inanizione, «la causa prima della morte di Cucchi che, producendo il deterioramento e la morte delle cellule, ha innescato quella che i periti hanno definito la causa ultima dell’exitus, che può essere dipesa sia da motivi cardiaci, come sostenuto dai consulenti del pm, sia da problemi neurologici, come sostenuto dai consulenti delle parti civili».
Secondo i magistrati «tale ricostruzione dei fatti è l’unica che consente di spiegare la costellazione di segni e di sintomi che il paziente presentava».
Resta il fatto che i mdici «avrebbero dovuto pervenire alla diagnosi» di inanizione ma considerato che «la malnutrizione di Cucchi era in stato di avanzato rischio quoad vitam già a settembre 2009» per i giudici «non vi è un’elevata probabilità logica che eventuali presidi terapeutici posti in essere in tale data (19 ottobre, giorno del ricovero, ndr) peraltro nel tardo pomeriggio, avrebbero potuto salvare la vita del paziente o ridurre la lesività della malattia».
Replica amareggiato il legale della madre, l’avvocato Stefano Maccioni: «Siamo ad una situazione paradossale. A pochi giorni di distanza abbiamo una sentenza che afferma che Cucchi è morto per inanizione, una perizia che invece sostiene che la causa della morte è l’epilessia oppure la vescica neurologica. Quello che è certo è che quello che è avvenuto è legato casualmente alle lesioni subite da Stefano».

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