Gli italiani decisivi nell’ultima battaglia contro l’Isis a Mosul
Mettete il nastro isolante a «X» sulle finestre, state ai piani bassi dei palazzi, tenete i bambini in casa. I volantini lasciati cadere su Mosul suggeriscono ai civili come resistere all’assedio che potrebbe durare settimane. Non ce n’era bisogno: da giorni la gente nella città irachena accumula quel che è possibile, cibo e medicine, si trincera come i miliziani dello Stato Islamico che da due anni spadroneggiano tra queste strade. La battaglia per Mosul è cominciata domenica notte con i peshmerga curdi che avanzano sui blindati sotto la luce della luna e il premier iracheno Haider Abadi che incita alla «vittoria storica» sotto i riflettori della diretta televisiva. E in prima linea ci sono anche i soldati italiani. Le regole di ingaggio sono chiare: si può rispondere soltanto se attaccati. Ma l’impiego dei militari a Erbil – che si trova a 80 chilometri dal teatro di guerra prevede il soccorso ai feriti della coalizione con quattro elicotteri militari da trasporto NH-90 dell’Esercito scortati dagli elicotteri da attacco A129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti, si legge su il Corriere della Sera.
Italiani in Iraq per difendere la diga di Mosul
È il Personnel Recovery, missione affidata a 130 incursori del 17° stormo dell’Aeronautica, le forze speciali da combattimento. Ed è questo a rendere strategico il molo del nostro contingente. Ma anche a far elevare il livello della mi naccia contro la Brigata Aosta impegnata nel presidio della diga di Mosul e soprattutto di tutte le sedi della ditta Trevi alla quale è affidata la messa in sicurezza dell’impianto. Adesso gli uomini in nero — sarebbero rimasti in 7 mila — si muovono solo in moto, il passeggero seduto dietro a scrutare il cielo con il binocolo per individuare i droni americani, le barbe tagliate per non essere individuati. «La nostra bandiera verrà presto innalzata nel centro della città e in ogni angolo dei villaggi liberati», proclama il premier Abadi.
Curdi ed occidentali uniti contro l’Isis
Per ora a sventolare è solo il vessillo tricolore della regione semi-autonoma del Kurdistan: i quattromila militari sono impegnati nella prima parte dell’operazione e — proclama il loro presidente Massud Barzani — «hanno già tolto 200 chilometri quadrati di territorio al Califfato». Nei piani degli strateghi americani che sostengono l’assalto anche con le forze speciali e i bombardamenti, le truppe curde devono essere affiancate dai soldati iracheni e dagli uomini delle tribù locali sunnite: 30 mila armati in totale per riconquistare la città perduta nel giugno del 2014, quando mille terroristi hanno messo in fuga quasi 60 mila tra poliziotti e militari iracheni e da dove Abu Bakr al Baghdadi si è autoproclamato Califfo. Il primo ministro Abadi promette che a Mosul entrerà solo l’esercito per evitare scontri tra la popolazione e le milizie sciite sostenute dall’Iran che partecipano all’offensiva. Abadi sa che il milione e mezzo di abitanti all’inizio aveva accolto gli estremisti dello Stato Islamico come liberatori da quelli che considerano i soprusi del governo centrale a Bagdad controllato dagli sciiti. Per scoprire quasi subito gli orrori del dominio fondamentalista: le esecuzioni per strada, le regole di vita oltranziste imposte con la tortura. Adesso sui muri della città disegnano la M, sta per Muqawama (resistenza), il simbolo della ribellione al Califfato.