La mafia in Sicilia tornò con lo sbarco alleato: Pif lo racconta tra risate e verità
Dopo La mafia uccide solo d’estate, Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, torna sul grande schermo con un film ancora incentrato su Cosa Nostra, un film coraggioso nell’affrontare una pagina scomoda della storia italiana del Novecento e cioè il supporto da parte dei capimafia allo sbarco americano in Sicilia nel 1943. Prima, il tema era stato portato al cinema da Francesco Rosi con il film Lucky Luciano del 1973. Nel caso del film di Pif, però, siamo dinanzi a una commedia agrodolce che si incardina sulla storia d’amore di Arturo e Flora. Lei è promessa sposa al figlio di un capoclan a New York, lui cerca di mandare in frantumi il matrimonio combinato viaggiando al seguito delle truppe Usa che stanno preparando appunto l’offensiva in Sicilia. Scopo della sua missione: ottenere dal padre di Flora la mano della figlia. Accanto alla cornice quasi fiabesca del racconto si dipana la denuncia sugli accordi tra americani e mafiosi nell’isola grazie alla regia del potente boss Lucky Luciano, tornato in Sicilia nel 1946. Non un film “impegnato”, dunque, destinato ad un pubblico informato e interessato all’argomento, dunque ristretto. Ma un film popolare, per tutti, con al suo interno una verità forte, che rimette in discussione la condotta degli alleati oltre la retorica sulla Liberazione.
Il libro di Augello sullo sbarco alleato
Solo per questo dato, il film merita attenzione. Certo, da un punto di vista storico, è criticabile il fatto che non viene dato conto della resistenza della difesa italiana che pure vi fu, e fu tenace e coraggiosa. Anche in questo caso siamo dinanzi a una pagina rimossa, alla quale Andrea Augello ha dedicato nel 2009 un libro, Uccidi gli italiani. Gela 1943, la battaglia dimenticata, edito da Mursia e che probabilmente Pif non ha letto. Un libro che restituisce alla memoria collettiva “i fanti della Livorno” che “resistettero fino all’ultimo, perdendo 2.200 uomini nell’inferno di Gela” e si comportarono da eroi, anche se nessuno li ricorda.
La popolazione, invece, accolse con entusiasmo gli americani. “Quando la prima colonna corazzata americana, il 22 luglio, entra a Palermo – racconta Augello – tra due file di stracci bianchi, la folla grida: Abbasso Mussolini. A Catania la popolazione, con vescovo e podestà in testa, va incontro festosamente agli invasori. La gente siciliana offre fiori, frutta e sorrisi agli uomini di Patton che rispondono lanciando sigarette alle ragazze che fanno ala al passaggio. Gli Alleati sono stupiti: non riescono a trovare una sola persona che ammetta di essere stata fascista. Tutti antifascisti. Il 16 agosto i carri Sherman entrano a Messina. Il 18 la campagna è conclusa, l’ostrica siciliana è stata aperta. Nonostante le diserzioni (il 14% per gli italiani) e le bandiere bianche, è stata sanguinosa. Ne fanno fede le tombe: 4.278 per gli italiani, 4.325 per i tedeschi, 5.187 per gli anglo-americani”.
Il ruolo della mafia locale
Le manifestazioni di giubilo a volte furono organizzate da noti mafiosi locali, come si vede nel film. “La mafia – scrive ancora Augello – si dimostrò molto efficace come mediatore politico con la popolazione, garantendo un certo consenso all’occupazione, almeno nella fase iniziale”. Tuttavia non mancarono episodi insurrezionali contro il governo Badoglio a Ragusa, Comiso, Vittoria e nella stessa Palermo. “Il che dimostra quanto vi fosse di effimero e di contingente nelle festose accoglienze riservate all’esercito americano”. Non solo, ancora più sconosciute al grande pubblico sono le gesta efferate compiute dagli alleati: dalla strage di Biscari (circa settanta prigionieri italiani fucilati a freddo a resa avvenuta) agli episodi criminali rivolti verso singoli prigionieri o piccoli gruppi di italiani inermi,
Ma il film In guerra per amore non è una ricostruzione storica dello sbarco americano in Sicilia, è un film che vuole far vedere come da lì prenda le mosse un intreccio di potere che avrebbe a lungo soffocato l’isola come spiega nelle battute finali il capomafia che diviene sindaco, sotto le insegne della Dc: il popolo siciliano, dice nel suo comizio, è come un “picciriddo” che noi “vogliamo accompagnare e accudire”. Un obiettivo di cui i “liberatori” erano pienamente consapevoli.