Né dalla parte di Zagrebelsky né da quella di Renzi: il nostro No è diverso
Sarebbe veramente paradossale, per chi ha sempre denunciato i limiti dell’attuale sistema costituzionale italiano, ridurre il referendum di dicembre a una pura e semplice rilegittimazione della Carta del 1948, come vorrebbero – da sinistra – alcuni del fronte del No. Se così fosse sarebbe un’occasione perduta, che darebbe – in fondo – ragione a Matteo Renzi, quando strumentalmente paventa, in caso di vittoria del No, un ventennio di inciuci ed immobilismo. Renzi fa solo propaganda e non della migliore. Il cambiare tanto per cambiare, su cui si incentrano i messaggi del governo non potrà cambiare la situazione. Anzi la peggiorerà. Ben altri e ben più complessi i temi su cui era necessario interrogarsi e dare risposte.
I veri motivi del No
Quegli stessi temi che, a partire dalla metà degli Anni Cinquanta del ‘900, vedevano impegnati intellettuali del valore di Giuseppe Maranini (“Miti e realtà della democrazia”, Comunità, Milano 1958), Giacomo Perticone (“La partitocrazia è uno spettro”, “Il Politico”, 1959), Lorenzo Caboara (“Patologia dello Stato partitocratico”, Leonardi, Bologna 1968), Panfilo Gentile (“Democrazie mafiose”, Volpe, Roma 1969), uniti nel denunciare la lontananza tra eletti ed elettori, la scomparsa di ogni selezione meritocratica del ceto politico, lo strapotere delle segreterie dei partiti, il gregarismo ideologico, l’occupazione partitocratica dello Stato, con il conseguente controllo del cosiddetto sotto governo e dell’amministrazione pubblica, la corruzione diffusa, l’instabilità politica.
Sulla base di queste analisi, tuttora valide, è possibile battere in breccia ogni visione “involutiva”, presente sia nel fronte del No che in quello del Sì, plasticamente rappresentati da Gustavo Zagrebelsky e dallo stesso Renzi. Alla visione moralistica e sostanzialmente conservatrice di Zagrebelsky, che si richiama alla Costituzione come ad un Moloch immutabile, e alle contraddizioni della proposta renziana, che mantiene sostanzialmente il bicameralismo paritario, aggravando però i conflitti di competenza tra Stato e Regioni, tra Camera e nuovo Senato, è allora necessario opporre, da subito, una chiara proposta alternativa, che ponga su nuove basi il processo riformatore. Anche a cominciare da chi deciderà i nuovi assetti costituzionali.
A un Parlamento delegittimato, eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale, solo una Camera Costituente, libera espressione della volontà popolare, potrà essere investita dell’importante compito di mettere mano ad una nuova carta costituzionale, dando risposte chiare rispetto ai temi della rappresentanza, del ruolo dei partiti, del costo della politica, del rapporto tra i poteri, della governabilità, arrivando all’elezione diretta del primo ministro da tenersi contemporaneamente a quella per la Camera dei Deputati. Solo così si creerebbero anche le condizioni per il necessario scarto politico-istituzionale, in grado di traghettare finalmente l’Italia verso la Seconda Repubblica. Si lavori perciò convintamente per il No , nella consapevolezza dei reali interessi in gioco, ma con lo sguardo rivolto al dopo. Ben oltre Zagrebelsky e Renzi.