Rao: «Il Msi fu il partito che pagò il più atroce prezzo di sangue». L’intervista
«Ci sono molti punti di contatto tra le due vicende. In entrambe i partiti ufficiali non solo presero le distanze ma condannarono e combatterono apertamente i terrorismi della rispettiva parte politica. Della battaglia contro il terrorismo nero di Almirante ho appena detto. Ma ricollegandomi al discorso appena fatto, c’è una differenza fondamentale: mentre il terrorismo rosso nasce per lo più dalle ceneri dei gruppi extraparlamentari di sinistra (in primis Potere operaio e Lotta Continua), il terrorismo nero (da Concutelli a Cavallini fino ai Fioravanti e Alibrandi, ma anche Mambro, Nistri e Pedretti, tanto per fare i nomi dei militanti piu’ noti di allora) prende le mosse all’interno di alcune sezioni del Msi e del Fuan».
Il Msi ha pagato un prezzo molto alto al conflitto ideologico di quegli anni e ha avuto i suoi martiri, decine. Di quali sentimenti si nutriva la militanza giovanile negli anni Settanta: furore ideologico, anticonformismo, rabbia o ideali veri, sinceri, puri?
«È un dato oggettivo che il partito che ha avuto il maggior numero di vittime tra i suoi militanti sia stato il Movimento Sociale Italiano. Soltanto a Roma in dieci anni si contano 12 vittime, tutte giovani, in alcuni casi giovanissime. Il rogo di primavalle, dell’aprile 1973, con la sua crudeltà bestiale e disumana, diede il via alla mattanza. Costringendo una intera generazione di militanti a fare i conti con una realtà forse inimmaginabile e comunque terribile. Una realtà in cui si ritrovarono ad essere considerati le persone più odiate e disprezzate del Paese. La schiuma della terra. Parliamo spesso di adolescenti di quindici-sedici anni che venivano insultati, minacciati, vilipesi, picchiati davanti o dentro le scuole. Il martirio di Sergio Ramelli a Milano è paradigmatico in questo senso. Ecco, tutto questo fece si che nel giro di qualche anno, accanto ai riferimenti più o meno diretti al fascismo o in generale alla cultura fascista, crebbero sentimenti e stati d’animo meno politici, come la rabbia, la voglia di reagire e dii vendicarsi. Quanto alla preparazione o alla consapevolezza politica dei militanti dell’epoca, io non credo che un sedicenne o un diciassettenne possa aderire a un movimento politico per motivazioni strettamente ideologiche. Le molle sono sempre prepolitiche o comunque metapolitiche. La voglia di ribellione, l’anticonformismo, l’eroismo, fattori estetici o persino lirici, in alcuni casi amicali, emozionali, conoscenze di quartiere. In diversi casi eredità politiche familiari».
«In realtà l’omicidio di Mario Zicchieri, al di là delle conclusioni processuali, è stato messo a fuoco nel corso delle indagini. Il giovane ZIcchieri fu vittima di un gruppo armato reduce da Potere Operaio e che di li’ a poco diverrà il nucleo fondatore delle Brigate Rosse a Roma, come mi ha anche confermato il superpentito delle Br, Antonio Savasta, che faceva parte di quel gruppo anche se con un ruolo logistico, nel mio libro “Colpo al cuore”».
La Fiamma e la celtica cosa rappresentavano nell’immaginario del militante di destra che faceva una scelta di impegno politico “democratico”, nel Msi?
«La ringrazio per aver citato il titolo del mio libro più fortunato sulla storia del neofascismo. In realtà la fiamma e la celtica sono stati i due simboli piu’ noti, amati e potenti dell’universo dei “vinti”, dal dopoguerra ai giorni nostri. La fiamma era il simbolo del partito, della sua storia, della sua struttrura, del suo establishment, negli anni diventò il simbolo della linea trattativista, parlamentarista e istituzionale del Msi. La celtica invece fu per diversi anni il feticcio dei giovani, dei “rivoluzionari”, degli “arrabbiati”, ma per molti rappresentò anche un tentativo di uscire dalle secche del nostalgismo fascista anche a livello simbolico. Inizialmente, diciamo dal 1946 ai primi anni settanta, la fiamma tricolore era praticamente l’unico simbolo di riferimento per l’intera comunità umana e politica che si ritrovata nel Msi. Ma poi, all’interno degli ambienti giovanili e rautiani cominciò a crescere il “mito” della croce celtica che tra la fine degli anni settanta e la prima metà degli anni ottanta si diffuse a macchia d’olio, acquisendo un significato spesso mitopoietico. Ma in alcuni casi anche un significato politico, quando ad esempio ci furono forti contrapposizioni con la leadership almirantiana».
Oggi cos’è rimasto di quel mondo che si muoveva a cavallo tra la suggestione nostalgica e quella utopistica che lei ha raccontato, tra dolore e orgoglio, in tante vicende umane?
«Oggi a livello politico restano un partito, Fratelli d’Italia, che si richiama più o meno direttamente a quelle origini, diversi movimenti e partiti più piccoli che ne rivendicano il legame e una serie di persone, che pur avendo intrapreso percorsi differenti, continuano a mantenere un legame profondo con quella storia».
La comunità missina, più circoscrivibile rispetto a quella generica della destra italiana, esiste ancora nelle sue diverse declinazioni politiche o restano solo foto e documenti in bianco e nero o consumati dal tempo in una mostra postuma?