Terremoto, i soldi alla Ue? Spendiamoli per mettere l’Italia in sicurezza
Facciamo che quest’anno all’Ue non gli diamo un centesimo. Niente di niente. Né quest’anno né per i prossimi cinque. Dopodichè quei 14 miliardi e mezzo che versiamo, in media, ogni anno all’Unione europea li destiniamo, tutti quanti, al risanamento del territorio. Per sventare, ove e quando possibile, il drammatico rischio idrogeologico e per attrezzare le aree più pericolose con il meglio della tecnologia esistente al mondo nella prevenzione dei terremoti. Facciamo, cioè, per una volta davvero qualcosa per noi tutti. Per noi e per la nostra bellissima e sventurata Italia. Facciamo in modo che quel che si può prevenire lo si prevenga e non solo a parole. E quel che si può rinforzare, sostenere, strutturare lo si faccia col meglio dei materiali e delle professionalità reperibili. A pensarlo sembra semplice. E pure fattibile. In realtà ci vuole una ferrea volontà politica. La capacità di una visione. Di un futuro. Che poi è ciò che qualificherebbe un leader e una forza politica. Tempo da perdere non ce n’è. E il disastro lo vedono pure i burocrati Ue. Interi borghi spazzati via, intere comunità in ginocchio e l’assoluta certezza che l’evento più imprevedibile ed implacabile si ripeterà: non si può continuare così. Non si può più nell’era digitale, nel millennio dell’intelligenza artificiale continuare a vedere certi disastri. Non ce la si fa più a soppportare dapprima il terremoto, poi i servizi e le analisi sul terrore e sulle lacrime e quindi l’immancabile impegno sui fondi per la ricostruzione. Perchè neppure hai finito la raccolta e organizzato il lavoro che subentra un altro sito, un’altra devastazione. Perciò, all’Ue dei burocrati mandiamogliela noi una bella letterina. Una garbata missiva nella quale spieghiamo che quei soldi destinati al funzionamento Ue, insieme ad almeno altrettanti che lo Stato italiano dovrebbe anch’esso mettere in campo, serviranno, da adesso in poi, per porre l’Italia in sicurezza. Tutta l’Italia. Un piano particolareggiato che ci affranchi dalla peggiore delle paure: morire seppelliti dalle nostre stesse case. Facciamolo. Scriviamolo al signor Juncker e pure alla signora Merkel. L’emergenza è qui. È adesso. È l’Italia. E non ci può essere alcun problema di burocrazia, di conti da rispettare o di tetto al deficit che non si possa sforare. Il tetto a tanti nostri concittadini gli è già cascato addosso.