Lo dice persino l’Economist: «L’Italia voti No». Brutta aria per Renzi
Tira in Europa una brutta aria per Renzi. Il vento sta cambiando e anche l’establishment economico ha capito che con Renzi non si va lontano. Gli allarmismi di qualche settimana fa sembrano dissolti. «Gli italiani dovrebbero votare No al referendum del 4 dicembre perché non è quella costituzionale la riforma di cui l’Italia ha bisogno». A scriverlo non è una testata qualunque, bensì l‘Economist in un lungo editoriale. Secondo il prestigioso settimanale britannico il premier Matteo Renzi “ha sprecato quasi due anni ad armeggiare con la Costituzione. Prima l’Italia torna ad occuparsi delle riforme vere meglio è per tutta l’Europa”. E per l’Economist le riforme vere sono “quelle strutturali dalla giustizia all’istruzione”. La riforma costituzionale proposta da Renzi, prosegue l’editoriale, “non si occupa del principale problema dell’Italia: la riluttanza a riformare”. Inoltre, “nel tentativo di porre fine all’instabilità che ha portato 65 governi in Italia dal 1945 introduce la figura dell’uomo forte”. Le dimissioni di Renzi in caso di vittoria del No, conclude l’Economist, “potrebbero non essere la catastrofe che tanti in Europa temono. L’Italia potrebbe mettere insieme un governo tecnico, come ha fatto tante volte in passato. Se, invece, la sconfitta ad un referendum dovesse innescare il crollo dell’euro, allora vorrebbe dire che la moneta unica era così fragile che la sua distruzione era solo una questione di tempo”.
Che cosa è successo? Perché questo improvviso cambiamento di vento? Le risposte sono molteplici. Innanzi tutto c’è la constatazione dell’inconcludenza di Renzi. Cresce inoltre il fastidio per le inituli sceneggiate anti-Ue di cui il premier s’è reso protagonista negli ultimi tempi. E poi non si va lontano se si intravede anche in questo caso un possibile effetto Trump. Da quando Donald è diventato presidente Usa, le Borse mondiali hanno conosciuto l’euforia invece della depressione. Gli operatori economici e finanziari sono molto pragmatici. E, se lo sono stati nel caso della Brexit e degli Usa, perché non lo dovrebbero essere anche con l’Italia se dovesse prevalere il No?