Cognome materno al figlio, la Corte torna a riunirsi. Ma la legge è ferma
Non è la prima volta che Corte costituzionale si occupa della questione del cognome materno ai propri figli oltre a quello del papà. Lo aveva già fatto nel 2006 con una sentenza molto severa sull’attribuzione automatica del cognome paterno, come ha ricordato in udienza il giudice costituzionale relatore Giuliano Amato. Allora la Corte disse che si trattava del retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, «non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna». Ma ritenne anche che la questione del cognome paterno esorbitasse dalle proprie prerogative.
Cognome paterno un vecchio retaggio
Oggi la Corte costituzionale è tornata a riunirsi sul caso di una coppia di genitori italo-brasiliana che desidera aggiungere al cognome paterno anche il cognome materno. Ma se la Corte accoglierà il ricorso presentato dalla Corte d’appello di Genova, dichiarando illegittima l’automatica attribuzione del cognome paterno ai figli nati nel matrimonio, l’effetto andrà ben oltre la sua vicenda. E probabilmente segnerà una svolta, visto che la prima proposta in Parlamento per affidare ai figli il cognome della madre risale addirittura a quasi 40 anni fa ed è ferma da due anni. Lo ha ricordato l’avvocato Susanna Schivo, legale della coppia, nell’udienza pubblica davanti alla Corte costituzionale dedicata alla questione di costituzionalità sollevata dalla Corte d’appello di Genova, a cui i genitori del piccolo si erano rivolti, dopo che il tribunale aveva bocciato la loro istanza. L’attuale sistema prevede l’attribuzione automatica del cognome materno. Un principio che non è sancito però da una norma specifica.
Un nodo antico
«Che succede se i genitori non sono d’accordo? L’accordo ci deve essere su tutti i figli o si esprime di volta in volta?». Per la Corte d’Appello di Genova però dalla sentenza del 2006 il quadro è cambiato: c’è stata infatti un’ordinanza della Cassazione nel 2008, è entrato in vigore il trattato di Lisbona che tra l’altro vieta ogni discriminazione fondata sul sesso e la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia, ritenendo «discriminatoria verso le donne» e una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’inesistenza di una deroga all’automatica attribuzione del cognome paterno. I magistrati genovesi non hanno dubbi: quell’automatismo va cancellato perché è in contrasto con una serie di precetti costituzionali, a cominciare dal principio di pari dignità dei genitori.