Dal Ventennio alla Rsi, il fascismo raccontato ai ragazzi di oggi
È strano ma vero. Nella colossale bibliografia sul fascismo, tra gli studi che hanno impegnato dopo il 1945 centinaia di storici di tutto il mondo, mancava un libriccino agile che provasse a raccontare il ventennio mussoliniano a chi non lo ha mai studiato, giovane o meno giovane che sia . In questa impresa si è cimentato Furio Gubetti che ha pubblicato il volume Fascismo – Breve storia per giovani ignari e adulti disinformati ( I Libri del Borghese, pp. 117, eu. 15). L’autore è un neuropsichiatra, torinese di adozione, già parlamentare del centrodestra, esplicitamente desideroso di raccontare ai ragazzi un pezzo importante della nostra storia e – come scrive Paolo Guzzanti nella prefazione – della “nostra identità”; un periodo che troppo spesso è stato più rimosso che studiato, più demonizzato che compreso.
L’intento divulgativo di Gubetti è evidente in ogni capitolo. Lo stile è piano, l’esposizione lineare, il racconto rigoroso e tendenzialmente oggettivo: dal fascimo movimento degli albori nel primo dopoguerra agli anni del regime; dalla tragedia della guerra mondiale al ritorno, nel biennio della Rsi, alle ispirazioni sociali e rivoluzionarie. La storia si dipana senza censure e senza cesure, in onestà.
Il volume è impreziosito da una lettera all’autore (e dalla sua risposta) di Aldo Chiarle, che fu partigiano e alto dirigente della massoneria italiana. Lo scambio di opinioni risente della cordialità tra i due interlocuori (l’amicizia nacque in una vecchia trattoria romana e si protrasse fino alla morte di Chiarle nel 2013). Ma le posizioni di Gubetti e di Chiarle divergono in molti punti, nei giudizi sull’esperienza del fascismo e nella distinzione tra luci e ombre. Leggendo queste pagine, che aprono il volume, si conferma l’impossibilità di raggiungere una vera e propria ”memoria condivisa”, nonostante i numerosi tentativi compiuti dai segmenti più sensibili della cultura e della politica, soprattutto negli anni Novanta del secondo scorso. Ma, al contempo, nelle lettere di Gubetti e Chiarle si verifica anche la praticabilità di una memoria reciprocamente e finalmente “rispettata”.