«Dopo Brexit e Trump, dal referendum può arrivare il “vaffa” italiano»

17 Nov 2016 13:12 - di Niccolo Silvestri

A chi tocca, dopo Brexit e Donald Trump, assestare il terzo calcione negli stinchi dell’establishment finanziario che tiene i fili della globalizzazione? All’Italia, naturalmente. Almeno questo è quel che prevede – con molti dubbi e mille cautele, in verità –  l’autorevolissimo Wall Street Journal, autentica “bibbia” per affaristi e finanzieri di tutto il mondo, che ha pubblicato una corposa analisi di Simon Nixon dedicata al nostro referendum confermativo del prossimo 4 dicembre. “Non c’è due senza tre”, sembra dire il Wsj, sebbene il giornale eviti accuratamente i toni apocalittici usati sia in occasione del referendum britannico sia nelle recentissime elezioni Usa, entrambe vinte dagli schieramenti populisti.

Il Wall Street Journal analizza gli scenari del referendum

Ma l’Italia, com’è noto, fa sempre storia a sé e oggi individuare in casa nostra chi sia il populista è impresa non da poco: il duo Grillo-Salvini, schierati per il “No”, o il premier Matteo Renzi, che invece implora il “Sì” sparando a palle incatenate contro una fantomatica “casta” di parlamentari che poi è la stessa che gli regge il governo? «I sondaggi – scrive il Wsj – attualmente mostrano che il “No” è leggermente in vantaggio, anche se circa un quarto degli elettori è ancora indeciso», spiega Nixon. Ma il vero problema – aggiunge – è che «da mesi» i dirigenti europei «avvertono in privato di considerare l’Italia come il più grande rischio per la stabilità finanziaria dell’Eurozona ed anche i mercati cominciano a subodorare problemi: lo spread col Bund si è allargato oltre 1,6 punti percentuali». Ci risiamo con i mercati che condizionano la democrazia e con lo spread che conta più della sovranità popolare. Dalla vittoria del “No” al referendum, scrive infatti Nixon, deriverebbe «lo scenario peggiore». Quale? «Renzi potrebbe ascoltare la richiesta di continuare o essere costretto a formare una nuova coalizione fino alle elezioni nel 2018». Ma il giudizio dei mercati, per il Wall Street Journal, sarebbe ugualmente severo poiché «interpreterebbe la sua sconfitta come la prova che Roma è incapace di riforme, sollevando dubbi sulla possibilità che l’Italia possa mai ritrovare la crescita necessaria per mettere il suo debito del 135 per cento del Pil su un passo sostenibile». Ma c’è anche un secondo scenario, del tutto alternativo al precedente, e che parte dal presupposto che «il referendum in realtà non è importante affatto».

«Decisivo sarà il ruolo della Bce»

E allora? «La verità potrebbe essere nel mezzo», azzarda Nixon, che ipotizza a questo punto il seguente (terzo) scenario: «L’Italia potrebbe cavarsela dopo il referendum, protetta dalla coperta antincendio del programma di acquisti della Bce» ma «il vero choc potrebbe arrivare dopo, quando diventerà chiara l’incapacità dell’Italia di riformarsi». Tutto dipende, per il Wsj, dalla ripresa dell’Eurozona e dal ritorno dell’inflazione al suo target come atteso. Se accadrà – spiega Nixon –  «per la Bce sarà più difficile giustificare il proseguimento del quantitative easing (cioè l’acquisto dei titoli in scadenza del debito pubblico italiano, ndr)» e «potrebbe continuare a comprare bond italiani solo grazie ad un chiaro assenso politico», cioè tedesco. A quel punto, conclude Nixon, «arriverebbe quello che l’Eurozona ha cercato di evitare: Roma sarebbe costretta a gettarsi alla mercè di Berlino».

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