L’impegno di Trump per una nuova America: ecco cosa potrà fare

11 Nov 2016 14:08 - di Enea Franza

Ora che il nuovo Presidente americano si prepara a sostituire il vecchio establishment, verifichiamo il suo programma economico e cerchiamo di capire se (e quanto), ad un primo sguardo, esso sia concretamente realizzabile.

Il programma di Trump: fisco e infrastrutture

In estrema sintesi, il nuovo Presidente propone investimenti nelle forze armate statunitensi che consentano di portare l’esercito ad una grandezza di almeno 540 mila soldati, di dotare la marina di almeno 350 navi, e l’aeronautica di 1.200 caccia. Alle spese sulla sicurezza si accompagnano ambizioni programmi d’investimento infrastrutturale per l’ammodernamento ed il potenziamento nei settori dei trasporti, dell’acqua potabile, della rete elettrica, delle telecomunicazioni e sull’utilizzo di acciaio americano. E’ previsto, contemporaneamente, un pesante intervento sul sistema fiscale, con l’abbassamento delle aliquote e l’abolizione della tassa di successione, la riduzione delle tasse federali sulle imprese (dal 35 al 15%) ed un condono per un rientro dei capitali dall’estero. Il programma prevede, inoltre, la diminuzione del debito pubblico e del deficit statale cresciuti a dismisura negli ultimi anni.

Abrogazione dell’Obamacare

Come far quadrare i conti? Nel programma si prevede l’abrogazione e la sostituzione dell’Obamacare con l’Health Savings Accounts e rispetto alla Clinton, nessuna pressione per la riduzione dei costi dei farmaci. Obamacare si è dimostrata oltremodo costosa e capace di effetti drammatici sul bilancio federale. Il suo superamento costituirebbe un toccasana per le casse pubbliche. C’è poi la convinzione che la riduzione del carico fiscale, determinando un incremento del Pil, sia capace di portare ad un maggiore beneficio per le casse pubbliche. Tra i provvedimenti anti-immigrazione c’è la contestata costruzione di un muro (a carico del Messico) per segnare il confine meridionale e l’espulsione di tutti e 11 milioni di immigrati irregolari, con l’eliminazione del diritto di cittadinanza per nascita. Ciò dovrebbe, nei propositi degli estensori del programma, stimolare l’impiego di cittadini americani in luogo del lavoro degli emigranti.

La politica estera e la Nato

Il politica estera si prevede rinegoziazione dell’Accordo nordamericano per il libero scambio (Nafta), il ritiro dal Tpp, l’apertura di un contenzioso con la Cina alla World Trade Organization, con una politica di dazi capaci di dare forza all’industria domestica ora schiacciata, in particolare, dalla concorrenza cinese. Nel programma presidenziale si prevede un maggior contributo a carico degli alleati della Nato per la difesa ed una decisa riduzione della politica d’intervento delle truppe americane all’estero con l’eccezione, tuttavia, della guerra all’Isis.

Il clima

Sul clima si prevede il potenziamento dello sfruttamento dei fonti fossili, quindi al petrolio, con l’obiettivo dell’indipendenza energetica del Paese, lo smantellamento dell’Epa (Environmental Protection Agency), che si occupa della tutela dell’ambiente e dello sviluppo delle energie rinnovabili. Il programma prevede, conseguentemente, la creazione di 25 milioni di posti di lavoro in dieci anni attraverso una crescita annuale del Pil del 3,5-4%. Ciò significa una crescita occupazione dell’ 1,5 % per anno – che conti alla mano, ipotizzano uno 0,90% realizzabile dalla popolazione sopra i 16 anni, un 0,40% dalla maggiore partecipazione della forza lavoro e 0,20% dalla riduzione del tasso disoccupazione – ed un incremento della produttività per addetto del 2%. L’ipotesi di crescita del Pil ipotizzate dallo staff di Trump implicano una sorprendente (quanto improbabile) inversione di tendenza di quanto sperimentato negli ultimi anni ultimi 15 anni.

L’Europa sia preparata a cogliere i cambiamenti

I pochi punti fermi che possono a tutt’oggi segnarsi sono, almeno per il 2017, un miglioramento dell’economia, che verrebbe ulteriormente alimentata dal programma di Trump, indubbiamente pro-ciclico per l’economia domestica. Parallelamente, una più moderata politica i rialzo dei tassi della FED ( Fed behind the curve) dovrebbe favorire l’ipotesi di un aumento dell’inflazione. Le politiche presidenziali a favore dei i principali settori in sofferenza (farmaceutici, l’energia, le infrastrutture e l’industria della difesa) e, la contemporanea politica di alleggerimento fiscale, dovrebbero spingere i listini americani, poco dipendenti dall’export, verso il rialzo. Insomma, un quadro che, nonostante le evidenti criticità potrebbe stare in piedi e dare vigore sostanziale ad un Paese oggi destinato al declino. Bene, a poche ore dall’elezione del nuovo Presidente americano, gli economisti europei dovranno essere in grado di cogliere in anticipo le mosse della nuova amministrazione, se non vorranno trovarsi impreparati e far pagare ai cittadini europei i costi di un Paese che sembra deciso ad abbandonare il ruolo presenzialista giocato dalla fine dalla caduta del muro di Berlino ad oggi.

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