“Mai più in Libia, abbiamo rischiato di morire”, parlano i due tecnici italiani liberati

6 Nov 2016 11:49 - di Paolo Lami

“Ho capito subito che non volevano solo la macchina, ho capito subito che era un’altra cosa. Fortuna che siamo qui a raccontarlo…”.

Parlano i due ex-ostaggi italiani, Bruno Cacace e Danilo Calonego, rapiti in Libia il 19 settembre scorso e liberati venerdì dopo un mese e mezzo di prigionia e raccontano i lunghi giorni di detenzione in Libia, il terrore vissuto al momento del sequestro, i momenti di ansia e la paura di non riuscire a tornare più in Italia. Ma anche la quotidianità e la noia nell’attesa di una liberazione.

Nel giardino di casa sua, a Borgo San Dalmazzo, Bruno Cacace torna a parlare così del giorno in cui è stato rapito in Libia con Danilo Calonego, l’altro tecnico italiano rilasciato come lui nelle scorse ore, e il canadese Frank Boccia.

“Quando ci hanno preso eravamo bendati, poi dopo no. Non abbiamo subito nessun maltrattamento, stavamo relativamente bene in relazione alla situazione in cui eravamo – ricorda -. Mangiavamo anche bene, colazione al mattino, pranzo alle 15,30 e cena a mezzanotte. Gli orari erano sfasati, ma c’era molto da mangiare, cibo libico ma anche pasta e riso”.

Le sue giornate passavano senza far niente: “È molto duro fare niente tutto il giorno, anzi penso anche di essere ingrassato. In certe situazioni si pensa a tutto meno che alla famiglia, perché pensare alla famiglia è dura. Si pensa ad altro e il tempo passa”.

E ora la certezza: lì, in Libia, non torno. “Se torno in Libia le mie figlie mi sparano, non posso tornare” dice Cacace. Con lui c’è la figlia Stefania e la mamma, Maria Margherita Forneris. In serata è previsto l’arrivo dell’altra figlia, Lorenza, che vive a Parigi. “Io piango poco, ma le mie figlie hanno pianto molto”, racconta il tecnico italiano, che dice di “star bene e di avere dormito questa notte”.

“L’ho proprio scampata. Stavolta ho rischiato grosso. Potevo rimetterci la vita”, gli fa eco Danilo Calonego, il compagno di prigionia, parlando con i familiari che fino alle 2 di stamane hanno atteso il suo ritorno a casa a Peron di Sedico, nel bellunese.

“L’ho visto molto provato, stanco – riferisce Daniela, una delle due sorelle – ma era felice”. “Ci ha detto – continua la sorella – che stavolta ha rischiato molto, che poteva rischiare la vita, ma era contento dell’esito positivo della vicenda. Ha detto che ogni giorno pensava alla mamma. Ha 94 anni e le abbiamo sempre raccontato che Danilo era all’estero per lavoro, per questo non la chiamava”. Oggi probabilmente Danilo Calonego come prima cosa incontrerà l’anziana madre poi si vedrà. Forse sarà una domenica di riposo visti i 48 giorni di prigionia da rapito. Daniela intanto non smette di ringraziare a nome di tutti il lavoro fatto dal ministero degli esteri. “La Farnesina ha fatto un lavoro fantastico, in silenzio. Ci hanno sempre confortato e hanno lavorato per raggiungere l’obiettivo. Davvero grazie”.

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