Renzi, ma che combini? La riforma costituzionale è già incostituzionale

17 Nov 2016 17:14 - di Valerio Falerni
renzi pil

Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere. La politica italiana ne ha viste e fatte tante, ma la riforma costituzionale viziata da incostituzionalità non s’era mai vista neanche da noi. Almeno fino all’avvento di Matteo Renzi che per la fregola di sfornare una purchessia si ritrova ora in mano un problemino non da poco che va ad aggiungersi alle incongruenze e contraddizioni di cui già abbonda il testo firmato dal ministro Maria Elena Boschi. È successo, infatti, che qualcuno si è accorto il testo approvato dal Parlamento ed in attesa di conferma popolare non può entrare in vigore dal momento che, come ha spiegato il leghista Roberto Calderoli, «non consente il rinnovo di un organo costituzionale quale il Senato».

Calderoli: «La riforma costituzionale confligge con gli statuti regionali»

Il nodo è questo: ove mai la riforma costituzionale superasse il referendum del prossimo 4 dicembre, il nuovo Senato sarebbe composto in gran parte (85 su 100) da esponenti regionali che saranno designati secondo modalità rinviate ad una legge ordinaria. Una mezza porcheria, ma ci può stare. Il problema sorge però con le cinque regioni a statuto speciale – Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Val d’Aosta – che espressamente vietano di cumulare nella stessa persona il ruolo di consigliere regionale a quello di parlamentare. Ne discende che il futuro Senato non potrà essere rinnovato se non dopo la modifica degli Statuti di queste cinque regioni. Sembra facile, ma non lo è perché ogni Statuto può essere modificato dal Parlamento solo con legge costituzionale e sentito il parere delle regioni interessate. Insomma, non proprio una procedura velocissima: «Almeno un anno», è la previsione di Calderoli.

La Finocchiaro (Pd) fa finta di niente: «E noi li cambieremo»

La spiacevole scoperta ha ovviamente spiazzato governo, Pd e maggioranza parlamentare. Qualcuno, nel partito di Renzi, ha tentato di metterci una pezza parlando di automatico recepimento nei cinque Statuti regionali dell’esito del referendum popolare, ma – a lume di Costituzione – la strada è impraticabile. Tanto è vero che, seppur implicitamente, a dare ragione alle perplessità di Calderoli è stata la relatrice del testo Boschi, la senatrice Anna Finocchiaro, la quale pur tra mille distinguo e non senza imbarazzo ha dovuto ammettere che per superare l’impasse «occorrerà una modifica degli statuti». Ovviamente, per la Finocchiaro «non c’è niente di straordinario». A suo giudizio, tutto si ricomporrà: «A meno che – ha aggiunto – non ci sia qualcuno che pensa possibile che ci siano regioni a statuto speciale che non vogliano mandare i propri rappresentanti a comporre il Senato. Francamente mi pare improbabile che il Friuli o la Sicilia rinuncino a sedere in Parlamento con i propri rappresentanti ed a esercitare i poteri conseguenti». E meno male che la riforma costituzionale di questi signori dovrebbe servire a ridurre tempi, costi e poltrone.

 

 

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