Utero in affitto in Ucraina, a giudizio la coppia italiana che sottoscrisse il “contratto”
Il tribunale penale di Bologna sarà chiamato a pronunciarsi su un caso di maternità surrogata all’estero da parte di una coppia italiana. Il Pm Marco Forte ha infatti citato in giudizio due coniugi, lui 56 anni, lei 44, dal 2012 genitori di un bambino nato a Kiev. La madre naturale è una donna ucraina con cui a febbraio 2010 i due sottoscrissero un contratto per poter impiantare nel suo utero, dietro pagamento di un corrispettivo, un ovocita fecondato con il seme dell’italiano.
L’utero affittatoin una clinica ucraina
Il tutto avvenne in una clinica ucraina, dove la pratica è consentita, diversamente dall’Italia. L’inchiesta è partita per una segnalazione dell’ambasciata italiana a Kiev al Comune della provincia dove il bambino è registrato, che ha avvisato la Procura. Il Pm ha contestato alla coppia la violazione dell’articolo della “legge 40», che sanziona chi organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità. Del procedimento sono stati avvisati gli uffici giudiziari minorili, che al momento non risulta abbiano preso provvedimenti.
Denunciati entrambi i genitori
L’uomo per l’accusa sarebbe stato il concorrente materiale, la moglie la concorrente morale del reato, punibile per la legge italiana con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Il tema se fare ricorso alla maternità surrogata all’estero significhi commettere un reato – al vaglio del tribunale di Bologna dopo la citazione diretta a giudizio – è stato già al centro di processi in Italia con un orientamento diversificato, che vede per lo più però uscire prosciolte le persone coinvolte.
Il pronunciamento della Cassazione
La Cassazione, lo scorso aprile, ha respinto un ricorso della Procura generale di Napoli, osservando in sostanza che se una coppia ha compiuto l’attività in un Paese dove la pratica è lecita, come l’Ucraina, il reato non sussiste. Nel caso di Bologna, dove le indagini sono state seguite dai Carabinieri, inizialmente era indagato anche un ginecologo italiano, per cui è stata chiesta l’archiviazione perché non sono emerse prove che abbia preso parte alla realizzazione della “surrogazione”. Tutti e tre, il medico e i coniugi, erano inoltre accusati del reato di alterazione di stato civile, ipotesi poi caduta perché essendo nato in Ucraina, l’atto di nascita del bambino è stato redatto secondo le norme vigenti nello Stato ucraino.