Veneziani: «La casa della destra si chiama Msi: ripartiamo da lì». L’intervista
L’indicazione è la stessa per tutti: in fondo a destra, da qualunque parte tu venga. Nei primi dieci giorni, in quelle sale di via della Scrofa 43 che ospitarono gli ultimi saluti ad Almirante e Romualdi, se ne sono già viste di tutti i colori, sullo sfondo in bianco e nero di una mostra che di oscura malinconia ha molto poco. Alla rassegna storica e politica che ripercorre i 70 anni del Msi sono arrivati tanti militanti del partito che fu, ma anche giovani leve della nuova destra, curiosi, passanti occasionali, perfino turisti, ma soprattutto avversari politici vecchi e nuovi, rossi, arancioni, verdi, bianchi: in quelle stanze si sono ascoltate chiare e celesti nostalgie, come canterebbe Cocciante, ma anche strane idee fiammeggianti di future avventure politiche di una destra che ha ripreso a guardarsi nello specchietto retrovisore sollevando sguardi di curiosità forse inattesi, anche da chi non sa o non ricordava. «Trovo che la mostra abbia avuto una buona accoglienza, anche da parte di giornali che sono stati storicamente ostili al Movimento sociale: ne hanno parlato con rispetto, da Repubblica al Corriere, dal Messaggero a tanti altri, e questo è già un segnale», spiega Marcello Veneziani, direttore scientifico della Fondazione An e curatore della mostra, insieme con lo storico Giuseppe Parlato.
Settant’anni dopo, cosa resta del Msi?
«Una storia passata che rispetto allo squallore del presente fa risaltare un’idea nobile della politica che allora c’era, un coinvolgimento e un disinteresse come molla primaria rispetto a un interesse personale che non trova alcun riscontro nella politica attuale. Il secondo dato è il desiderio da parte di un popolo di destra, che oggi è un po’ disperso, di ritrovare comunque una casa comune, magari discutibile, antica, non riproponibile nel presente, ma una casa di partenza: la quantità di persone che sono venute e l’attenzione che c’è intorno a questa mostra è la dimostrazione che c’è un vuoto, e non solo sentimentale, nostalgico, romantico, ma anche politico, di un grosso soggetto di destra che possa rimettere insieme i cocci del passato ma anche e soprattutto generare un nuovo soggetto politico».
Lei la chiama La Casa, altri la chiamerebbe La Cosa, visto che in pochi, tra i politici, scommetterebbero su un progetto futuro basato sul ricordo del Msi che fu.
«Perché il politico solitamente è legato al presente, l’intellettuale guarda al passato ma anche al futuro, alla storia politica e civile. E al tempo stesso deve guardare a quello che si muove, a quello che è latente, a quello che potrebbe nascere. Io noto che anche tra la gente da una parte c’è un’attenzione storica verso il Msi, da un’altra un desiderio di futuro: c’è voglia di dare una prospettiva a questa memoria, di creare un luogo politico che vogliamo sentire come riferimento, una casa dove elaborare idee. Credo che il desiderio ci sia tutto, è chiaro che le cose non rinascono da operazioni di vintage ma da basi nuove, ma il sono convinto che un soggetto politico possa anche rinascere da una analisi del passato».
L’obiettivo di parlare alla base della destra, ai “militanti ignoti” piuttosto che ai leader, è stato raggiunto?
«Su quella definizione ci siamo giocati molto di questa mostra e credo che sia stata una buona scommessa. Di solito abbiamo identificato la memoria storica nella figura del suo leader, qui invece partiamo dalla figura del militante che ha attraversato gli anni del Msi a vario titolo e a vario modo: per una volta partiamo da un popolo che forse c’è ancora, che è disperso, perché ridurre tutto a una storia di leader significa non rendere giustizia a questo mondo. Un leader, anche in un movimento di destra, non è sempre unitario ma anche divisivo: la storia del Msi è stata una storia anche di correnti che si fronteggiavano, ma se tu ti riferisci al militante ignoto parli di tutto il popolo missino, se evochi un leader come Almirante evochi uno che ha avuto grande consenso ma che non è tutta la storia missina. Ci sono tante storie, per questo la mostra offre anche la possibilità di ritrovare un’unità di base rispetto a dinamiche di vertice che vedevano tante divisioni».
Qual è il punto di forza della mostra?
«È stato fatto una gran lavoro sulla mole di documenti storici e politici, affiancato anche da una importante rassegna fotografica sul popolo missino. I punti di maggiore interesse sono due: le origini, che è sempre un punto eroico da esplorare, e l’approfondimento degli anni Settanta, forse il momento top del Movimento sociale, che ricorda anche la gioventù e l’eta di molti che visitano questa mostra».
In tanti, analizzando la storia della Fiamma, hanno messo in luce la grandi divisioni che ne hanno attraversato la storia ma anche il crisma di democrazia interna che ne ha caratterizzato la crescita. Ed è qui che si scava un solco nei paragoni con un grande movimento popolare che oggi si pone, come il Msi, come contrapposizione al sistema partitocratico e consociativo. È azzardato un confronto tra il Msi di ieri e il M5s di oggi?
«No, non è una bestemmia, perché al di là del giudizio che possiamo dare sul dilettantismo del Movimento Cinque stelle dobbiamo riconoscere che se vogliamo trovare un precedente in un movimento anti-sistema, che contesta la corruzione, i ladri al potere, lo troviamo proprio nel Msi, ma con una differenza importante: quella era una contestazione che aveva cognizione di causa, quella dei grillini entra nell’ambito della pura protesta, senza radicamento, senza cultura alle spalle, senza una storia politica. Però alcun tratti protestatari sono comuni, come altri aspetti del Msi che oggi riscontriamo nelle dinamiche politiche che vanno per la maggiore e vengono rappresentate come movità».
A cosa si riferisce, in particolare?
«Gli elementi nuovi della politica italiana sono due. Da una parte la grande battaglia sulle riforme, storica sfida missina, che diventa oggi un feticcio del premier Renzi, anche se non in chiave presidenzialista. Dall’altra parte i grillini, che con la loro protesta sono la prosecuzione del metodo anti-sistema della storia missina, ma senza coerenza di fondo perché, a bene vedere, il politicamente corretto viene assorbito in toto dai grillini: su temi bioetici, di revisione storica, di cultura poltiica, sono allineati al sistema, protestano solo contro il potere politico e basta. Il Msi, invece, era davvera l’alternativa a tutto».