L’attualità di Pasolini. Il vero “potere forte” è l’edonismo che ha soggiogato l’Italia

15 Dic 2016 14:38 - di Jessica Simonetti

Ricordo ancora (e con un certo orgoglio) il mio primo vero “incontro” con Pasolini: qualche anno fa, per assecondare la mia fame di lettura, mi divertivo a rovistare tra i libri polverosi accantonati negli scaffali più alti della libreria dei miei nonni. Dopo i tanti Calvino e gli altrettanti Moravia, un libro in particolare catturava la mia attenzione: era Il sogno di una cosa. L’ho sfogliato con una certa attenzione, curiosa di capirne l’essenza: di quel Pasolini ne avevo già sentito parlare da mia nonna che, da buona appassionata di cinema, citava spesso l’Accattone tra i suoi film preferiti.

Il sogno di una cosa era, per una allora quindicenne, una finestra su un mondo completamente nuovo, un mondo che parlava di progetti, di ideali traditi, di realtà illusorie e voglia di rivoluzione.

Da lì il mio interesse quasi morboso verso la figura di Pasolini, verso il Pasolini regista, scrittore e poeta ma, soprattutto, verso il Pasolini uomo. Un personaggio controverso, occasionalmente scandaloso e irriverente, lontano dal manierismo tipico di certi intellettuali italiani.

Inviso alla destra in doppiopetto e scomodo a sinistra, il pensiero di PPP è totalmente indomito e libero da ogni etichetta formale. Allergico al potere della Democrazia cristiana e intollerante verso tutti quei cliché tipici del ceto piccolo-borghese, Pasolini contestava la società degli ‘anni 70 con una lucidità ed un’arguzia fuori dal comune. Le sue posizioni nei confronti dell’allora società moderna hanno suscitato acute controversie tra le fila del PCI, quello stesso PCI che, senza troppi giri di parole, lo aveva epurato dal partito dopo aver preso atto della sua manifesta omosessualità.

Ciò che è assolutamente fondamentale per comprendere Pasolini, è affrontarlo con assoluta libertà di pregiudizi: vi accorgerete che classificarlo tra i ranghi di qualche movimento culturale è impossibile e che relegarlo ad una sfera politico-ideologica di sinistra è impensabile.

La sua riflessione sulla società dei consumi e la profonda critica della “mutazione antropologica degli italiani” è, oggi più che mai, attualissima. Negli Scritti Corsari e nelle Lettere luterane è racchiusa l’analisi di un Italia violata, figlia del Capitalismo e del Potere, le due bestie che Pasolini ha cercato di combattere in tutta la sua opera letteraria.

L’omologazione culturale che colpiva l’italiano medio degli anni ’70 era il male da combattere: per Pasolini la matrice di questo male era da ricercarsi nel capitalismo e nell’idolatria delle merci, che distruggevano la differenza tra classi spingendo i proletari a desiderare di identificarsi con la classe media dominante. Non c’erano più differenze tra il centro e la periferia, perché la rivoluzione televisiva aveva annullato le distanze, favorendo “un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane”, eliminando le microculture originali tipiche del tessuto sociale del nostro Paese.

“Il Potere ha deciso che siamo tutti uguali” e il sottostare a certi diktat diventa obbligatorio, per non sentirsi diverso. Ma l’uguaglianza, scriveva Pasolini, è un’uguaglianza triste, immeritata, che getta il popolo nella disperazione e nel disgusto, che fossilizza il linguaggio verbale e non offre possibilità di riscatto. Parlare di Fascismo, Antifascismo, Chiesa e Famiglia non aveva più senso, perché il “più totalitario dei poteri”, l’unico a soggiogare le masse, era il potere del Capitale.

Il progresso era in realtà un falso progresso, ed in nome di quest’ultimo si sono generati molti cancri aspramente dibattuti nella ricerca civile di PPP, come l’illusoria libertà sessuale, l’abuso di droga e l’aborto, tutti figli della frenesia consumistica.

La profezia dell’autore è solidissima: l’edonismo del consumo, oggi come quarant’anni fa, mina alle fondamenta della nostra cultura, la impoverisce, la riduce a mero contenitore di ideali puramente nominali.

Gli stereotipi culturali condannati da PPP, il degrado delle periferie, le “maschere funebri dei potenti democristiani” sono rimasti intatti, cristallizzati nel tempo e nello spazio.

Oggi come ieri, il potere del Capitale è assoluto, illimitato e totalitario. Assoluto, perché tutto può essere mercificato, perfino la vita umana. Totalitario, perché si impone con forza nei nostri orizzonti culturali, cercando di annullare ogni possibilità di designare un modello economico, sociale e culturale alternativo.

La sua eredità è dunque un pozzo ancora vivido in cui attingere per sfuggire a quella “omologazione brutalmente totalitaria del mondo” che cerchiamo ogni giorno di combattere.

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