Referendum, l’Italia dei mercati rionali ha vinto contro la grande finanza
È un’Italia “salvatica” e temeraria quella che esce dal risultato referendario. “Salvatica” perché libera dai piccoli e grandi condizionamenti che hanno segnato la campagna del sì e “temeraria” in quanto capace di andare, senza tentennamenti, all’essenza della sfida in atto e di vincerla. Se è vero – come scrivevano Papini e Giuliotti – che «ogni uomo esiste in virtù del suo nemico», a vincere è stata un’Italia che ha saputo individuare il proprio “nemico (politico) principale” e discernere tra il bene e il male delle proposte in campo (ben al di là di una pasticciata riforma costituzionale).
L’Italia dei mercati rionali non teme di mettersi in gioco
È l’Italia dei mercati rionali contro quella della grande finanza. L’Italia che non teme mettersi in gioco, rimandando al mittente le “mancette” governative: i cinquanta euro per i pensionati, gli ottantacinque per gli statali, gli ottocento per le mamme, i cinquecento per i giovani … Italia sprezzante contro il politicamente corretto e contro i salotti buoni, contro i timorosi ed i moderati, che, sempre in ritardo sui tempi, hanno votato per il sì, nella convinzione che … comunque-bisogna-cambiare.
La vittoria dell’accozzaglia del No è la vittoria dell’Italia dell’orgoglio e dell’appartenenza, che ha rifiutato la renziana “disintermediazione” della famiglia e dei corpi intermedi. E’ l’Italia che non ha ascoltato gli appelli della “grande stampa”, nazionale ed internazionale, e che si è fatta beffe dello spread, dei rating, della volatilità dei mercati, dell’andamento delle Borse. Ma è anche un’Italia che ora vuole contare di più, vuole decidere veramente, una volta archiviata l’idea di una politica tutta tagli (di sovranità) e falsa efficienza.
Si tratta di cambiare metodi e contenuti
Non si dica allora che a vincere è stata la paura del cambiamento. Del “cambiamento” a firma Renzi-Boschi gli italiani hanno dimostrato di non sapersene che cosa fare. Perché è parso, da subito, segnato da una confusa volontà “disorganizzatrice” (nel segno dei “poteri forti”) delle istituzioni e del Corpo Sociale (con l’attacco alle autonomie locali e alle identità diffuse). Perché, sotto la scorza addolcita dai presunti risparmi della politica, quel “cambiamento” è stato percepito come intimamente avvelenato. Perché – nel metodo – il progetto sostenuto dal fronte del sì è stato visto come il risultato di una scelta di parte, piuttosto che – come avrebbe dovuto essere – il risultato di una politica condivisa.
Ora evidentemente si tratta di cambiare metodo e contenuti, incamminandosi finalmente sulla via di una ritrovata volontà riformatrice, che parli agli italiani il linguaggio della chiarezza (non solo sui temi del cambiamento costituzionale), che dia voce all’Italia profonda e complessa (quella dei corpi intermedi e della società reale), che individui coerenti percorsi di confronto e di condivisione (ad esempio attraverso la convocazione di un’ Assemblea costituente). Con il referendum del 4 dicembre l’Italia ha chiesto di voltare veramente pagina. Un’altra storia ora è possibile.