Sicilia, laboratorio di speranze o illusioni per il centrodestra che verrà
Il 2017 potrebbe essere l’anno delle elezioni politiche anticipate, certamente sarà l’anno delle elezioni regionali siciliane. Da sempre lo scacchiere politico siciliano viene osservato dagli addetti ai lavori con particolare attenzione, poiché la Sicilia, definita da Marcello Veneziani “un’Italia esagerata”, è la terra dove italici vizi e virtù, pregi e difetti, vengono amplificati, tanto da fungere -spesso e volentieri- da altisonanti elementi anticipatori di quanto avverrà a livello nazionale.
Certamente, guardando all’intero panorama isolano -non solo politico- gli elementi che da subito risaltano all’attenzione sono la confusione del sistema politico-amministrativo, la litigiosità interna alle forze politiche sfociante in personalismi esasperati, e la rassegnazione di un popolo sempre più povero -6 giovani su 10 non hanno un lavoro- che va incanalandosi nel fiume in piena della rabbia contro il sistema, e quindi, nell’antipolitica.
Non c’è da stupirsi, allora, se il primo dato “esagerato” è che la Sicilia è stata la prima regione dove il M5S è risultato saldamente primo partito, insieme al partito del non voto.
Certo, le inchieste sulle firme false hanno leggermente incrinato l’immagine di un movimento immune da errori e vizi, ma in compenso il disastro di Crocetta e del centrosinistra e le divisioni del centrodestra sembrano fornire continui assist alla compagine grillina, tanto da far immaginare a notabili osservatori la loro vittoria alle regionali del prossimo ottobre.
Ma è davvero così? I giochi sono già chiusi? In realtà no, la partita vera della campagna elettorale deve ancora iniziare, e in questa partita il centrodestra può essere non solo protagonista ma vincitore.
Per giocarsi fino in fondo questa partita il centrodestra deve ritrovare unità sui contenuti e sui progetti, mettendo da parti asti e rancori figli di una stagione orfana di partiti organizzati, dove i personalismi hanno fatto da padroni. Da questo punto di vista la campagna referendaria sembra aver rappresentato il primo vagito di questa ritrovata unità, con i rappresentanti di Forza Italia, Fratelli d’Italia, Noi con Salvini, UdC e Diventerà Bellissima (movimento guidato da Nello Musumeci), fianco a fianco in numerose iniziative per il NO (e in Sicilia il NO ha ampiamente superato il 70%). Certo, guardando ai numeri, nella terra che fu feudo della DC bisognerà capire cosa faranno i centristi ancora vicini a Casini e Alfano, visto che ancora oggi governano con Crocetta e che questo non solo ha portato alla rottura ufficiale con l’UdC di Cesa, ma provoca forti risentimenti di chi in questi anni è rimasto saldamente alla opposizione.
Il centrodestra siciliano, a differenza di quello nazionale, può ripartire da leadership forti e popolari quali certamente sono Nello Musumeci e Salvo Pogliese, due potenziali candidati presidente di un polo del buon governo alternativo all’antipolitica e al mal governo della sinistra, due uomini di destra dal riconosciuto rigore morale e dalla lunga militanza, due cittadini della “Catania pupilla dei miei occhi” di Giorgio Almirante.
Il leader potenziale, quindi, c’è. La base programmatica comune può certamente sintetizzarsi in meno tasse su famiglie, lavoro e impresa, meno burocrazia, meno sprechi, più investimenti in infrastrutture, lotta senza quartiere contro corruzione e ogni altra forma di illegalità. Il tutto sarebbe più genuino e credibile se si avesse il coraggio di aprire una nuova stagione, dando spazio ad una classe dirigente fatta di giovani cresciuti nelle trincee dei consigli comunali e della militanza.
Cosa deve non fare il centrodestra? Dividersi, o peggio, ascoltare gli appelli all’ammucchiata “responsabile” in combutta con il centrosinistra, questo sì che spalancherebbe le porte a Grillo, tanto a Palermo quanto a Roma.
Insomma, in Sicilia, nel “laboratorio Italia”, il centrodestra ha ancora quale mese per presentarsi ad un appuntamento politico che in un modo o nell’altro segnerà la storia di questo schieramento negli anni a venire, con forti riflessi a livello nazionale: restare nell’irrilevante baratro dei personalismi e delle posizioni di rendita o rinascere come matura, autorevole e rivoluzionaria forza di governo.