Asse Usa-Russia, la dottrina di Donald Trump del disgelo passa dal G7
Giocando un po’ con le parole della storia del secolo scorso si può dire che la politica estera di Donald Trump sarà incentrata su una “Perestrojka” al contrario. L’era delle speranze tradite – per chi c’aveva creduto – del presidente Obama si è definitivamente chiusa con il triste e clamoroso botto di fine 2016: l’espulsione di 35 diplomatici russi dagli Usa. Da più parti, anche dal mondo dem, la scelta di Obama è stata vista come il colpo di coda di chi, evidentemente, non ha saputo digerire la sconfitta, nei confronti di un successore che ribalterà le posizioni americane in tema di politica estera. E non solo.
La campagna di Donald Trump
La campagna elettorale di Donald Trump incentrata su temi protezionistici e il primo incidente diplomatico da presidente eletto sulla vicenda Taiwan, hanno già ampiamente fatto capire che per il nuovo inquilino della Casa Bianca il vero nemico non è la Russia, bensì la Cina. La strana alleanza tra il magnate e lo zar, oltre che volta alla lotta al terrorismo con comuni vedute su temi cruciali – vedi la Siria – è dettata dalla necessità di rispondere al preoccupante boom economico del dragone cinese, che continuando sui ritmi attuali nel breve volgere di pochi anni diverrà prima potenza industriale del mondo. Ecco perché riveste una importanza centrale il prossimo G7 che si terrà a Taormina a fine maggio.
Il placet per la Russia
Pare che proprio Donald Trump abbia dato il proprio placet al lavoro delle diplomazie al fine di far rientrare la Russia nel circolo dei grandi del mondo, tornando alla formula del G8. Un lavoro non semplice che, oltre a richiedere un cambio di rotta repentino della politica estera americana, a cascata richiederebbe di rivedere gli affari esteri di tutti i paesi che guardano a Washington, Italia compresa, con una non meno importante mutazione delle manovre della Nato, la quale fino a poche settimane fa posizionava carri armati al confine con la Russia. Infine, sono ancora in piedi le sanzioni comminate alla Russia per l’annessione della Crimea.
Il linguaggio di Alfano
In una intervista rilasciata a La Stampa il ministro degli esteri Alfano pur giudicando «precoce» l’ipotesi di Putin a Taormina, ha sottolineato che l’Italia è stata «tra i primi a dire no a un rinnovo automatico delle sanzioni» e che «sarebbe un errore strategico fare a meno del contributo russo nelle sfide alla sicurezza». Decriptando la cautela del linguaggio democristiano, l’Italia guarderebbe con favore al rientro nella Russia nel G8. D’altronde ai fini dell’interesse nazionale non potrebbe essere altrimenti, la Russia è un partner economico fondamentale -secondo le stime di Coldiretti le sanzioni hanno comportato un danno alla nostra economia di 7,5 miliardi in due anni-, è partner energetico importante ed è anche tra i primi esportatori di turisti in Italia, nonostante le sanzioni abbiano ridotto la presenza di turisti russi di quasi il 30%.
Le solide relazioni con l’Italia
Infine, la Russia è partner culturale, sin dalla notte dei tempi Italia e Russia hanno intrattenuto solide relazioni, perfino con l’avvento dell’Unione Sovietica. Nel 1922 l’Italia – con Mussolini – fu la prima Nazione occidentale a riconoscere la legittimità della Russia socialista. L’augurio di coloro che sperano nella crescita dei popoli nella pace e nella maggiore cooperazione possibile, è che quella dei leader mondiali a Taormina sia una foto da ricordare, e che dalla terra dell’incontro delle più fiorenti civiltà mediterranee, quale è la Sicilia, possano gettarsi le basi per un mondo meno ipocrita -senza premi nobel per la pace preventivi, per intenderci- e più realista nell’affrontare e vincere le sfide di una modernità sin oggi ammaliata dai miti del falso progresso.