Figli che uccidono i genitori, la fallimentare parabola della famiglia
Si era appena concluso con una condanna a 18 e 20 anni di reclusione l’iter giudiziario del tragico fatto di Ancona, la mia città, in cui una giovanissima coppia di fidanzatini, lei ancora sedicenne, lui poco più che maggiorenne, aveva ucciso a colpi di pistola i genitori di lei, che già esplode violento il nuovo caso: due giovani di un paesino della provincia di Ferrara, in accordo, uccidono i genitori del più giovane. Questa volta con un agguato nel sonno a colpi di colpi d’ascia, una mattanza orribile. Ma orribile era stata anche l’altra mattanza in cui, nel caso di Ancona, il fidanzatino in pieno giorno aveva ucciso entrambi a colpi di pistola alla testa, nel corso di una feroce esecuzione, addirittura mentre uno dei due, rincorso, cercava disperatamente di fuggire. Anche la scelta delle armi e della modalità di un assassinio hanno un senso per interpretare cosa c’è dietro quello che è accaduto.
Orizzonte affettivo inesistente
In tutti e due i casi una ferocia efferata che fa pensare, quindi non solo all’uccisione, ma anche alla sua forma selvaggia, piena di rabbia e di violenza. In entrambe le circostanze la mano assassina non è quella del figlio o della figlia, ma del coetaneo che si occupa dell’esecuzione materiale; la decisione parte proprio dalla volontà del consanguineo, l’altro se ne fa strumento di azione. Per comprendere meglio sarà però utile esaminare il clima interno nelle famiglie delle vittime. E’ sempre caratterizzato da un conflitto incontenibile e da un’assoluta mancanza di contatto emotivo tra i genitori e il figlio, con un’atmosfera di totale disprezzo degli uni per l’altro e viceversa. Inoltre un forte legame relazionale all’interno della coppia genitoriale che prevale sul legame intergenerazionale. Nel caso di Ferrara c’è un’assenza drammatica dei genitori nella vita familiare del figlio, che non frequenta la scuola, non viene seguito, viene ripetutamente bocciato e cambia istituti e la relazione tra lui e i genitori è così disturbata che lui non riesce addirittura riprodurre relazioni ordinarie e soddisfacenti con gli altri coetanei. Nel suo orizzonte affettivo ci sono solo due relazioni importanti: quella con il suo cane Zac e quella con un suo amico dalla prima infanzia, vicino di casa, con il quale ha condiviso quasi tutta la vita ed è quasi l’unico ambasciatore tra lui ed il mondo esterno ed anche quello che si occuperà di uccidere i suoi genitori, come atto totale di affetto e altruismo nei suoi confronti. Cioè giovani a cui evidentemente non è stata trasmessa una relazione d’amore dai genitori e solo grande freddezza emotiva, che trova gratificazione solo da relazioni chiuse, rigide ed esclusive.
Recuperare la figura del padre
Non è un caso che tale relazione esclusiva sia anche con il cane, che come noto è un animale che dà fedeltà, sottomissione ed amore totale al padrone, gratuito ed incondizionato. Ma ciò che colpisce è l’assoluta mancanza di considerazioni etiche e morali da parte dei due ragazzi sulla loro azione, quasi che questa valutazione sia completamente estranea ai loro sentimenti e al loro essere, aggiungerei alle loro prospettive esistenziali. Quasi si trattasse di un pensiero concreto, senza spessore emotivo o interferenze con la realtà ed il mondo esterno. È del tutto inutile sostenere la giustificazione che si tratta di dipendenza da internet, dai videogiochi e dal mondo virtuale, che condiziona il pensare e l’agire dei giovanissimi. Qui evidentemente non gli sono mai stati trasmessi dai genitori emozioni, sentimenti, relazioni, valori diversi. E proprio questa assenza e questo vuoto è stato riempito con un pensiero grandemente perverso, in cui il controllo della rabbia, dell’aggressività, della frustrazione è completamente offuscato, si direbbe che è del tutto obnubilata la ragione umana. È il destino prodotto da genitori eccessivamente autocentrati, su loro stessi, sul loro lavoro, sulle loro esigenze. Non c’è spazio se non puramente materiale per la relazione con i figli e questi crescono al di fuori della relazione e delle emozioni positive. Non è un caso che il figlio di una delle vittime abitasse in una dependance separata dalla casa dei genitori in un mondo di sporcizia e degrado, senza riscaldamento; un ex garage riadattato, dove prevalevano oggetti in disordine, usati e danneggiati, insieme a portaceneri strapieni di resti di spinelli fumati.
La famiglia e il ’68
Talvolta questo vuoto e questo degrado viene riempito dalle relazioni trasgressive con i pari o dall’uso di sostanze che occupano la mente, a cominciare dall’alcool e dalla cannabis, per alzare poi il tiro verso sensazioni più forti magari con eroina, cocaina o droghe sintetiche, oppure attraverso azioni estreme, quale lanciarsi dai balconi dei palazzi, sfidare i treni o le auto in corsa o compiere atti aggressivi contro gli altri per misurarsi in situazioni limite. Per esempio bere o sballarsi fino a farsi male, talvolta fino a lasciarci la pelle. E’ tutto nello stesso pacchetto esistenziale di vuoto totale. In questo quadro un capitolo a parte occupa la figura del padre, che nella coppia genitoriale è quello che dovrebbe dare le regole. Il femminismo dilagante in questi ultimi decenni ha messo in crisi la figura maschile, fino a sminuirla e modificarla, facendola sfumare rendendola quasi trasparente. Ma il maschio è anche un padre e in tutti questi nuclei familiari la figura autorevole del padre è completamente assente, tanto che in tutti e due i casi, quello di Ancona e quello di Ferrara, il conflitto e l’odio è rivolto soprattutto verso la madre, che è quella che “non dà tregua” e tenta di mettere dei paletti. Per salvare la famiglia, i figli e la società occorre recuperare la figura maschile e in particolare quella del padre. Una società senza padri è una società patologica che perde i riferimenti e le regole. Impazzisce. Esattamente quello che sta accadendo. In un commento comparso sui social un anonimo ha scritto paradossalmente: “la rivoluzione del ’68 alla fine è arrivata a compimento, i figli hanno ucciso i padri!”.