Israele boicotta la Conferenza sulla pace a Parigi e confida in Trump

15 Gen 2017 13:01 - di Paolo Lami

L’ha definita con disprezzo “l’ultimo sussulto del passato prima che s’insedi il futuro”. Di più: “una conferenza truccata dai palestinesi sotto gli auspici dei francesi per adottare un ulteriore atteggiamento anti israeliano“. Israele ha deciso di boicottare la Conferenza sulla pace in Medio Oriente che si apre oggi a Parigi. E che dovrebbe servire a ribadire il sostegno della comunità internazionale ad un’equa soluzione con due Stati, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza.

È stato il premier israeliano Benyamin Netanyahu ad annunciare che Israele è intenzionato a osteggiare in ogni modo l’iniziativa alla quale la diplomazia francese lavora da tempo per far ripartire la pace in Medio Oriente.

Vi partecipano una settantina di paesi, tra cui l’Italia. Ma non i diretti interessati.

Il leader palestinese Mahmoud Abbas sostiene l’iniziativa. Netanyahu l’ha definita, appunto, “l’ultimo sussulto del passato prima che s’insedi il futuro”. Le posizioni sono infinitamente distanti.

L’incontro che si apre oggi segue una prima precedente conferenza internazionale tenutasi a Parigi a giugno.

Allora vi parteciparono una trentina di paesi. E firmarono un documento finale il quale affermava che lo status quo fra israeliani e palestinesi “non è più sostenibile” impegnando, altresì, i firmatari a fornire incentivi “significativi” per fare la pace.

Anche il segretario di Stato Usa uscente, John Kerry, ha annunciato la sua partecipazione alla conferenza, nonostante sia oramai prossima la scadenza del suo mandato.

Ma quello che doveva dire l’ha già espresso a chiare lettere: gli insediamenti israeliani minacciano una pace con due Stati.

E, come se non bastasse, ha fatto infuriare Israele, oramai isolatissima, quando, il 23 dicembre scorso, gli Stati Uniti hanno rotto con la prassi del veto. E, per la prima volta, si sono astenuti al Consiglio di Sicurezza Onu permettendo, così, l’approvazione di una risoluzione contro gli insediamenti. Che ha mandato su tutte le furie
Netanyahu.

Il capo del governo israeliano teme ora un “colpo di mano” all’Onu prima dell’insediamento di Trump. Una nuova risoluzione che appoggi le conclusioni della conferenza di Parigi. Sarebbe il colpo di grazia per le mire espansionistiche di Israele. Che, dal canto suo,  spera in Trump.

Il Tycoon e il suo futuro ambasciatore in Israele, David Friedman, avvocato statunitense di origine ebrea, affermano di vogliono trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Un affronto agli sforzi di pace. Il gesto romperebbe con la tradizionale politica finora seguita in Medio Oriente da Washington di aspettare che sia un accordo di pace a definire lo status della città santa contesa fra le parti in causa e forte motivo di conflitto nell’area.

Il tema già accende gli animi. Il ministro dell’Informazione giordano Mohammed al Momani, citato dal Washington Post, ha parlato del rischio di “conseguenze catastrofiche” e di “regalo agli estremisti”. Mentre il presidente palestinese Mahmoud Abbas, ieri a Roma, ha ammonito: una decisione del genere “non aiuterebbe la pace”.

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