Legge elettorale, Berlusconi rilancia il modello spagnolo. Ma preferenze no
Bisogna attendere la Consulta. Ci sederemo al tavolo con il Pd e chi vuole cambiare l’Italicum solo dopo il verdetto della Corte e dopo aver trovato una posizione comune all’interno di Fi. In ogni caso, serve un sistema senza preferenze, che garantisca la governabilità, ovvero la corrispondenza tra la maggioranza parlamentare e quella popolare, ma assicuri anche la nostra rappresentatività. Rientrato a Roma, Silvio Berlusconi pranza a palazzo Grazioli con lo stato maggiore di Forza Italia. Piatto principale del menu, la legge elettorale.
Di fronte ai capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta, a Gianni Letta, Sestino Giacomoni, Valentino Valentini e Niccolò Ghedini, Berlusconi avrebbe ribadito la sua preferenza per il proporzionale, senza chiudere la porta al modello spagnolo. Che, con le dovute correzioni, potrebbe mettere d’accordo, almeno sulla carta, i renziani, i verdiniani e persino i grillini, visto che non si discosta poi così tanto dal cosiddetto Toninellum, cioè il testo depositato qualche anno fa in Parlamento da M5S.
Prima però di sedersi al tavolo con le altre forze politiche, Pd in primis, avrebbe ammonito l’ex premier, bisogna chiarirsi le idee all’interno di FI. ”Dire semplicemente che si deve partire dal proporzionale non basta, occorre poi dare applicazione concreta a questo proposito”, dice un big azzurro. Da qui l’idea di istituire due commissioni azzurre, una per la legge elettorale, un’altra sul programma.
Una mossa che potrebbe servire anche per ricompattare il partito e i gruppi e trovare una posizione comune da cui partire e proporre agli alleati, ma soprattutto alle altre forze politiche interessate a cambiare l’Italicum. Fino ad ora, infatti, non c’è mai stata una linea ufficiale in materia. Con tanto di divisioni etensioni tra correnti.
Berlusconi non ha mai nascosto la sua simpatia per il modello elettorale ispanico, che comporta un’alta soglia di sbarramento e, secondo lui, converrebbe anche al Pd perché privilegia i partiti più grandi, funziona bene e garantisce la governabilità in Parlamento. Un suo vecchio pallino, raccontano, sarebbe anche l’avversione per le preferenze, da sempre considerate ad Arcore un’anomalia tutta italiana a rischio voto di scambio.