Lo speculatore George Soros l’aveva giurato: «Trump non dovrà governare»
Le donne contro Donald Trump: mezzo milione in America e oltre due milioni sommando quelle delle città di mezzo mondo che hanno inteso dare il proprio benvenuto al neopresidente, entrato solo il giorno prima nella Casa Bianca, a colpi di minacce e slogan ostili. Otto anni fa, invece, appena eletto, Barack Obama fu insignito del Nobel per la pace. Se qualcuno avesse ancora dubbi circa l’esistenza di un establishment globale – una cricca, diciamolo pure – che tira i fili per far girare il mondo come meglio crede, è pregato di fugarli. Trump non è accreditato come il migliore dei presidenti, ma non è escluso che possa diventarlo. Comunque sia, ha diritto ad essere contestato solo dopo e non prima di aver sbagliato. In fondo, è stato eletto. Circostanza che non dovrebbe sfuggire ai tanti che la democrazia la predicano molto ma la praticano poco, un po’ come i devoti dalla fede à la carte. Purtroppo, sfugge e a Trump non sarà data tregua. I suoi molti nemici, del resto, non sparano a salve. George Soros, speculatore e miliardario, gliel’ha giurata e, a cadavere politico della Clinton ancora caldo, si è chiuso in conclave con altri Paperoni liberal con un unico, dichiarato obiettivo: impedire a Trump di governare. Le proteste preventive di queste ore autorizzano a ritenere che quel programma sia già in fase avanzata. Soros è un vero cosmopolita: crede nella globalizzazione dei diritti e perciò sponsorizza a suon di dollari le sinistre di mezzo mondo, le associazioni gay e le sigle pro-migrazione. Ma crede anche nell’economia globale e perciò è convinto che la delocalizzazione delle aziende migliori la vita di asiatici e africani più di quanto non rovini la nostra. Sarà anche per questo che sulla pelle di migranti e di altri povericristi, in tanti – grazie a Soros – riescono a mettere d’accordo le ragioni del cuore e quelle del portafoglio. Purtroppo per lui, Trump ha deciso di cambiare spartito e di riportare l’America con i piedi per terra ripristinando l’ordine naturale delle cose: si parte dal prossimo, cioè il più vicino, e si finisce al più lontano. Significa che il benessere della propria nazione e dei propri connazionali viene prima di quello del mondo e dei suoi abitanti. Egoismo? Nazionalismo? Può darsi. Ma solo chi è in mala fede o a libro paga di Soros può negare che l’amore per il mondo degli ultimi decenni abbia impoverito soprattutto l’Occidente. Per la verità, neppure i cantori della globalizzazione lo negano, però pretendono che ci vada bene lo stesso in nome di un umanitarismo posticcio e ideologico. Ma l’operaio di Detroit non può far finta di essere contento se la fabbrica in cui lavora viene smantellata per essere dislocata in in Messico. Trump lo ha capito, ha avuto il coraggio di gridarlo in faccia al mondo e ha vinto. Ora lo si lasci governare nel nome degli stessi principi di democrazia e di libertà che i suoi nemici dicono di voler difendere da lui.