Mosca appoggia Khalifa Haftar, l’uomo forte libico che non piaceva all’Italia

14 Gen 2017 15:21 - di Giovanni Trotta

Ajdabiya, luogo natale del generale Khalifa Haftar, era sotto il dominio inglese quando lui venne al mondo: avevano appena sconfitto “la Volpe del deserto” Erwin Rommel. Sin da giovanissimo si dedicò alla carriera militare diventando ufficiale all’Accademia di Bengasi e perfezionandosi in Egitto e Unione Sovietica. La sua prima scelta di rilievo fu quando, giovane ufficiale, si schierò con Muhammar Gheddafi nella Rivoluzione verde del 1969. Quattro anni dopo guidò le truppe libiche nella guerra del Kippur contro Israele, quando gli arabi furono ignominiosamente sconfitte da Tschal. Nel 1986 fu mandato  come comandante delle truppe di Bengasi nella decennale guerra contro il Ciad, conosciuta come “la guerra dei Toyota”. Ma anche lì fu un disastro: il Ciad, appoggiato dalle truppe francesi, sconfisse la Libia e prese prigionieri 700 soldati libici, Haftar compreso. Successivamente, dopo la prigionia, gli Stati Uniti intervennero a suo favore per liberarlo, prima facendolo espatriare in Zaire e poi in Kenya e infine favorendo il suo ingresso negli Stati Uniti. Il perché di questa operazione non è stato mai chiarito, ma verosimilmente gli Usa hanno approfittato del dissidio venutosi a creare tra Haftar e Gheddafi in seguito alla disfatta del Ciad.

Haftar ha vissuto 20 anni negli Stati Uniti

Haftar ha vissuto vent’anni negli States, frequentando i circoli dei fuoriusciti libici anti-Ghaddafi. Nel 2011 venne il suo momento, e tornò in Libia per proporsi come uomo risolutivo della crisi del suo Paese. Dopo un periodo di caos, l’Occidente, e soprattutto l’Italia, decisero di non puntare su Haftar, non si sa il perché, e puntare invece su al Sarraj, esponente di un governo-fantoccio messo a capo del governo di Tripoli per fare quello che dice l’Onu e i suoi alleati Ue e Nato. Ma dopo la polverizzazione della Libia in signori della guerra, bande, fazioni e Isis, Haftar tornò negli Usa, per poi tornare in Libia due anni fa, dopo anni di guerra intestina. A marzo 2015, dopo la sua Operazione Dignità appoggiata dall’Egitto, tesa a riunire le varie componenti libiche, il parlamento di Tobruk lo ha nominato capo di Stato maggiore, potendo disporre di un esercito di circa 35mila uomini e di mezzi pesanti. Si pensava potesse diventare capo del governo, ma come si è detto si è preferito puntare su al Sarraj, che vive asserragliato a Bengasi e non controlla alcuna porzione di territorio libici, mentre Haftar controlla tutta la parte est. Il parlamento di Tobruk comunque non ha riconosciuto il governo di al Sarraj, e continua a contrastare i terorristi islamici di Daesh, contrariamente a quello che Tripoli. Haftar sta consolidando la sua presenza in Cirenaica, a Bengasi, preparandosi a venire a patti con il premier occidentale, che fuori da Tripoli non controlla nulla, e a volte neanche dentro Tripoli, come si è visto in occasione del tentato golpe di due giorni fa attuato dall’ex premier Khalifa Ghwell. Nei giorni scorsi Haftar si è recato sull’incrociatore russo Kuznetsov, dove ha parlato in video conferenza col ministro della Difesa di Mosca Soighou. Appoggiato ora da Egitto e Russia, Haftar potrebbe compiere il salto di qualità riuscendo a comporre i dissidi tra i libici sotto la sua gestione. E l’Italia avrebbeperso l’ennesimo treno.

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