Trump sente Putin e lancia un piano per distruggere l’Isis
Ieri il colloquio con Angela Merkel, oggi quello con Vladimir Putin. Il “road show” telefonico di Donald Trump con i grandi leader internazionali (a proposito, ma per uno squillo al nostro Gentiloni dovremo aspettare che cada il governo?) prosegue a ritmo incessante, così come le iniziative “rivoluzionarie”, su tutti i fronti.
Trump a colloquio
con l’amico Putin
“Un significativo inizio per migliorare i rapporti tra Mosca e Washington”, lo definisce in una nota la Casa Bianca. Il primo colloquio tra il presidente americano Donald Trump dopo il suo insediamento e il presidente russo
Vladimir Putin, con una telefonata durata circa un’ora. Tra gli argomenti trattati la cooperazione per sconfiggere l’Isis e gli sforzi comuni per allargare la pace nel mondo, a cominciare dalla Siria. Se son rose russe, fioriranno…
Contro l’Isis Trump
ha un piano rapido e potente
Da giorni pensava a un’azione rapida e potente. Ecco perché appena insediatosi Donald Trump ha iniziato a consultar i vertici militari per predisporre un piano contro l’isis entro 30 giorni. Il presidente americano ha così firmato un provvedimento che impegna i vertici militari a elaborare una strategia precisa per sconfiggerlo. Nel documento, Trump spiega che l’organizzazione terroristica “non è l’unica minaccia da terrorismo islamico radicale che gli Stati Uniti affrontano, ma l’Isis è tra i più feroci e aggressivi”.
Le misure per bloccare
l’ingresso dei terroristi
Qualche problema (e molte critiche dalle cancellerie internazionali) ha provocato la decisione di Donald Trump in materia di immigrazione, che mira a impedire l’ingresso di terroristi islamici negli Stati Uniti, firmato dal presidente americano Donald Trump: tra le misure c’è anche la sospensione per tre mesi del programma di ammissione dei rifugiati, e l’ingresso, fino a ulteriore comunicazione, di quelli siriani. Trump ha quindi incaricato il Segretario di Stato, durante i 120 giorni di sospensione, di rivedere il programma dei rifugiati, al fine di essere sicuri che le persone alle quali viene concesso lo status di rifugiato “non rappresentino una minaccia per la sicurezza e il benessere degli Stati Uniti”.