A 40 anni da Campo Hobbit: nostalgia o voglia di riunire la comunità dispersa?
Torna dopo quarant’anni il Campo Hobbit, l’esperimento voluto dall’ala rautiana del Movimento Sociale Italiano, per cercare di cambiare le cose, ossia il mondo dell’attivismo missino e il suo modo di rapportarsi con la società. Il Campo Hobbit I, tenutosi a Montesarchio in provincia di Benevento per volontà di coraggiosi esponenti del Msi, fu in realtà una vetrina su un mondo sconosciuto, quello dei giovani neofascisti del Msi e del Fronte della Gioventù, dei quali non si parlava mai se non per casi di cronaca nera. L’ispiratrice di questa operazione è Marina Simeone, la figlia di quel Generoso Simeone che fu l’anima del primo campo. Insieme a lui e a Pino Rauti, altri contribuirono alla realizzazione di quel campo storico, da Alessandro Di Pietro a Umberto Croppi, da Monica Centanni a Giampiero Rubei, da Marco Tarchi a Silvano Moffa, da Monica Zucchinali a Stefania Paternò, da Junio Guariento a peppe Nanni, da Paolo Frassinetti ad Antonella Bellucci, da Bruno Socillo a Flavia Perina e a tanti tanti altri, senza dimenticare il fondamentale Circolo Satrico di Latina con Nando Cappelletti, Maurizio Guercio , Ferdinando Parisella, con il contributo – perché nasconderlo? – del gruppo storico di Ordine Nuovo di Roma. Ma il vero ispiratore, lo ricordiamo ancora una volta, fu Simeone, originario del Beneventano, che fu prezioso anche per l’organizzazione logistica del tutto, alla cui memoria è dedicata l’intera manifestazione. E ci scusiamo per aver involontariamente dimenticato tutte le centinaia di camerati che contribuirono all’ideazione e alla realizzazione di Hobbit 1.
Il Campo Hobbit si svolgerà di nuovo a Montesarchio
Il nuovo campo di svolgerà proprio dove si svolse il primo, dove qualcosa indiscutibilmente nacque, dal 23 al 25 giugno prossimi. Diverse sono le reazioni, sia tra chi vi partecipò sia tra le nuove generazioni: operazione nostalgia? rimasticatura di sensazioni irripetibili? recherche del tempo perduto? Oppure serie volontà di ricostituire un mondo, quel mondo, che tanto ha dato non solo a diverse generazioni ma anche all’Italia stessa. Ma lasciamo parlare gli organizzatori, che hanno espresso il loro pensiero in una nota esplicativa: “Quarant’anni dopo a Montesarchio un nuovo incontro per richiamare alla memoria il senso di appartenenza e la volontà di confronto e scontro di una generazione che non si è arresa. L’identità è il sottotitolo scelto per questa tre giorni di musica, dibattiti, mostra fotografica, ricordi, analisi. Una identità perduta o mai dimenticata? Alla ricerca di una politica sociale, globale, meno misera sicuramente di quella a cui ci stanno abituando. Abbiamo messo in moto un laboratorio di azione e reazione, una chiamata alle armi e in fondo un modo di fare cultura, quella che parla la lingua del popolo, perché si forma dal suo sangue, quella che allo speranza oppone la volontà. Senza steccati né pregiudizi il nostro Hobbit è prima di tutto il cammino di una comunità dall’origine verso la sua naturale proiezione. Gli anni Settanta alle nostre spalle ci intimano di non intraprendere strade già battute, ma sentieri vergini, seppur tortuosi, sui quali idee sostenute fermamente possano trovare la propria stabile dimora. E a chi parla di nostalgismo, possiamo rispondere che non c’è nostalgismo nella memoria, ma fedeltà, come a chi ci condannerà di tradimento del folklore potremmo rispondere che non c’è fedeltà nella imitazione anacronistica, ma ingenerosità”.
Il Campo Hobbit del 1977 evento dirompente
Ecco un ricordo del Campo così come descritto in un recente libro sugli anni Settanta missini: “Il Campo Hobbit a Montesarchio fu comunque un evento dirompente nel mondo giovanile della destra, in quel momento a un bivio o in una fase di transizione, scioccato dagli assassini politici e dal clima di intolleranza, e frustrato dal poco spazio che aveva nel Msi, del quale comunque non si condividevano le strategie. Organizzato da Generoso Simeone, proveniente da Ordine Nuovo e fondatore del giornale L’Alternativa, ma ideato e anche voluto da Rauti, il campo è una singolare due-giorni di musica, concerti, poesia, dibattiti, grafica, teatro, ma soprattutto di incontri tra i giovani anche di varie parti d’Italia, per confrontarsi su quello che stava succedendo in questa Italia che sembrava veramente impazzita. E si consideri che Acca Larenzia non c’era ancora stata, così come il rapimento Moro. I giovani neofascisti, o postfascisti, si rivolgevano verso Pino Rauti più per una protesta verso la classe dirigente del Msi, cui si attribuiva una scarsa reazione alle persecuzioni cui tutti erano sottoposti da anni, che per una reale convinzione dottrinaria. Poi i rautiani erano veramente una comunità organica, molto uniti, convinti, un po’ eretici, tanto da meritarsi l’epiteto di “setta” da parte degli altri, gli almirantiani prima, i finiani poi. Ma quando c’era da lottare per la nostra agibilità politica, per la nostra sicurezza, per il nostro diritto alla parola, insomma per la nostra sopravvivenza, rautiani e almirantiani erano in trincea, in piazza, in parlamento a lottare contro il sistema. E magari, nelle zone più brutte, arrivava qualche volta anche l’aiuto dei “duri” di Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo. Detto questo, il Campo Hobbit I fu un grandissimo successo da tutti i punti di vista. Oltre 1500 giovani presenti, numerosi gruppi musicali, quindici, dalla Compagnia dell’Anello agli Amici del Vento, da Fabrizio Marzi agli Janus, da Renato Colella a Roberto Scocco, da Enzo Matarazzo ad Andreina Tomada a Marina e il Vento del Sud. Sull’evento sono stati scritti articoli, libri, opuscoli, tutti hanno commentato questa destra che usciva dal ghetto e un po’ anche – perché negarlo? – scimmiottava la sinistra. Ebbe anche il merito di lanciare definitivamente quella che chiamavamo la musica alternativa, i cui protagonisti si esibirono in applauditi concerti. Insomma fu una crescita modernizzatrice che forse in quel momento ci voleva. Diciamo anche che la nomina di Fini a segretario del Fronte al posto del più votato Tarchi non aveva proprio bendisposto i rautiani al dialogo e volevano – riuscendoci – dimostrare qualcosa. Infine, in quel campo si affermò definitivamente la già famosissima croce celtica, che diverse sezioni di Roma rivendicano aver utilizzato per prime sin dalla fine degli anni Cinquanta, dalla Prenestino alla Colle Oppio alla Trieste Salario. Non sappiamo chi in effetti la adottò, però il primo movimento europeo ad adottarlo così come oggi conosciamo questo simbolo fu il francese Jeune Nation di Pierre Sidas nel 1945, anche se fu consacrata e diffusa da Ordre Nouveau negli anni Settanta. In Italia, a quanto pare, come è scritto su “Hobbit/Hobbit”, la celtica fu importata dal movimento Giovane Europa nel 1964, anche se, ricordiamo, c’è chi se la ricorda a Roma anche prima di quegli anni. Almirante a questo punto commise un errore capitale, proibendo di fatto, nel luglio 1977, l’uso della celtica nel partito, inasprendo i rapporti tra i due mondi. Qualche anno dopo, però, lo stesso Almirante ammise di aver fatto un errore con quella circolare. In ogni caso, la croce celtica non fu mai abbandonata dai missini neanche dopo la morte del Msi, e molti di noi oggi la portano ancora al collo e qualcuno ci si è fatto anche seppellire”.