
I Sioux marciano sulla Casa Bianca: «No oleodotto nelle terre dei nostri avi»
Esteri - di Redazione - 10 Marzo 2017 - AGGIORNATO 10 Marzo 2017 alle 19:50
Dopo quattro giorni di riunioni e preghiere a Washington, le tribù dei nativi americani sono pronte a marciare oggi verso la Casa Bianca per chiedere il rispetto dei loro diritti e un incontro con il presidente Donald Trump. Forza trainante della “Native Nations Rise march” è la tribu Sioux di Standing Rock, che si è battuta a lungo contro l’oleodotto Dakota Access che attraversa le terre ancestrali. La protesta ha galvanizzato numerose altre tribù, generando un’ondata di attivismo che non si vedeva da anni fra i nativi.
“Non abbiamo mai fatto parte di un movimento che ci rappresentava in maniera così importante e possente. Una resistenza guidata dagli indigeni”, spiega la 26enne Eryn Wise, fra i i leader del Consiglio Internazionale della Gioventù Indigena, un gruppo nato durante la protesta per l’oleodotto.
I Sioux si sono strenuamente opposti alla costruzione del Dakota Access pipeline, denunciando i rischi per l’acqua potabile e la mancata consultazione della tribù da parte del governo. Nel frattempo l’esercito ha concesso facilitazioni alla società costruttrice, la texana Energy Transfer Partners, per alterare in parte il percorso. I Sioux sono tornati in tribunale e una decisione è attesa per aprile, ma i lavori sono già cominciati.
A Washington per la marcia, la Wise spiega che l’approvazione dell’oleodotto non significa che la guerra dei Sioux sia persa. “C’è una minaccia in corso – spiega – contro i diritti indigeni alle nostre sacre terre e risorse. Ma prima nessuno ne parlava. Siamo diventati il centro di un più grande movimento… siamo ancora qui. Continuiamo a combattere per il futuro dei nostri figli, per il nostro territorio”.
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