In nome della globalizzazione si è giunti al capital-comunismo
In natura le ibridazioni avvengono per caso, per necessità o per determinate condizioni, ma -principalmente- per determinate condizioni favorite contemporaneamente dal caso e dalla necessità. Anche in politica. La condizione che si è fatta strada in maniera sempre più forte lungo tutto il corso del Novecento è stata quella della massificazione, vuoi per scelta e pianificazione ideologica (le masse comuniste) vuoi per convenienza economica (i consumatori indifferenziati su grandi numeri) , vuoi per appiattimento culturale. Una condizione favorita da grandi eventi catastrofici – le due guerre mondiali – che hanno destrutturato il mondo favorendo l’indebolimento delle differenziazioni, culturali, linguistiche, etniche, religiose ed economiche. Restava però in piedi una grande divisione: comunismo e società libera, mondo sovietico e occidente, una contrapposizione che permetteva l’esistenza di contraddizioni, che in qualche modo garantivano spazi di residua libertà alle nazioni e ai loro popoli, grazie alla competizione tra i blocchi per assicurarsene l’appoggio.
Il capital-comunismo e la massificazione
Oggi, venuta largamente meno quella contrapposizione, l’unificazione indifferenziata, che ha preso il nome di globalizzazione, non sembra trovare più ostacoli, grazie anche proprio a quella avvenuta ibridazione che io chiamo capital-comunismo, perché la massificazione è la sua prima caratteristica e il consumatore indifferenziato e livellato il suo prodotto umano. Capital-comunismo che ha come vittima iniziale la democrazia e come vittima finale la Libertà . La democrazia è la sua prima vittima, perché siamo stati capaci di inventare qualcosa di abbastanza simile in fondo ad una democrazia (sia pur imperfetta e delegata) solo all’interno degli stati nazione, dove cittadini di stessa lingua, storia e cultura si dividono su tesi politiche contrapposte, in un quadro abbastanza ristretto e definito perchè la loro opinione conti davvero qualcosa. Ma nelle mega-strutture sovranazionali o addirittura sovracontinentali, il voto del cittadino scompare completamente, anzi lo stesso concetto di cittadinanza/appartenenza viene annullato.
L’Onu, istituzione emblematica
Anzitutto le contrapposizioni politiche tendono a scomparire per lasciare il posto a divisioni etniche (e neanche troppo mascherate), poi la distanza tra governanti e governati diventa così grande da far perdere addirittura di senso alle parole eletti ed elettori. Io non credo che proprio nessuno, tra gli abitanti di questo mondo, abbia la sensazione di avere la benché minima influenza sulla più lontana ed emblematica delle istituzioni sovranazionali : l’Onu. E, per fortuna di tutti, l’Onu è inefficiente, perché se non lo fosse, sarebbe, credo inevitabilmente, il più tirannico e totalitario potere assoluto della storia. La libertà personale è la seconda vittima di una globalizzazione trionfante. Io non credo affatto che la democrazia (che è un metodo) sia una garanzia assoluta di Libertà (che è un fine) perché spesso degenera in demagogia mossa più dall’odio per gli altri che dall’amore per se stessi, però certamente aiuta. Alla lunga una possibilità anche minima di incidere sulle scelte politiche, aiuta a difendere la propria libertà e con questa la libertà di tutti ed è perciò che la democrazia resta “il peggior sistema di governo ad eccezione di tutti gli altri”, purché però sia almeno in parte effettiva, cosa che nelle mega strutture indifferenziate è impossibile.
Le forme oligopoliste
Comunque a livello di strutture statali siamo ancora fortunatamente lontani da una situazione di questo genere, ma non a livello economico, dove la globalizzazione opera invece in forma ormai pervasiva. Ma perché parlare di capital-comunismo ? Perché la globalizzazione opera in forme oligopoliste di sistema di fatto imposte. L’esempio più evidente é la Cina, dove addirittura la cosa è esplicitamente dichiarata, partito unico (comunista) e sistema capitalistico volto all’esportazione (in dumping, con salari e moneta tenuti artificialmente bassi e ostacoli burocratici all’import libero non pianificato), ma non è che l’occidente sia innocente. Quando le grandi corporation vogliono disfarsi di un concorrente, possono ad esempio di concerto cambiare uno standard , come nei computers, dove anche la migliore macchina hardware del mondo può essere buttata fuori dal mercato, se viene privata, da un cartello che così decida, della licenza proprietaria software che permetta di dialogare con tutti. Se non vi sono più produttori di lettori vhs, il passaggio ai dvd è obbligato, se nessuno processa e stampa più le pellicole super 8, le video camere si impongono, se si impongono alberi da frutto privi di seme, i contadini dovranno forzatamente comprare le piantine da chi le produce.
Imposizione e massificazione
E se molte volte questo processo è il naturale risultato di un progresso tecnico, molte altre è invece il risultato di una imposizione oligopolistica o addirittura di un divieto statale o sovranazionale, che, con pretestuosi argomenti regolamentari o “ecologici” mira in realtà ad eliminare libertà di commercio e concorrenza, come interdire le tratte commerciali più redditizie agli aerei supersonici civili o lo sviluppo di reattori nucleari con tecnologie indipendenti. Ed è proprio l’aspetto di imposizione oltre a quello di massificazione, che mi spinge a parlare di “capitalcomunismo”. E se passiamo all’informazione la situazione è ancora peggiore, dal pericoloso cartello dei grandi media tradizionali (stampa, agenzie e TV) ai nuovi servizi informatizzati in rete. A parte la scandalosa e generalizzata violazione su scala mondiale della vita privata e pubblica di tutti i cittadini, dai primi ministri ai semplici impiegati, da parte di centrali d’ascolto operanti di continuo, con intercettazioni telefoniche, videocamere, satelliti, da parte di servizi segreti, magistrature, oligopoli informatici e tecnostrutture dedicate, la pervasività della rete opera anche in maniera fintamente libera, perché ci può in realtà sapientemente “orientare”, facendo diventare virali, accanto alle tante stupidaggini più o meno spontanee, anche tesi e notizie che si vogliono astutamente diffondere.
A destra si difende la libertà di differenza
La gente però, un po’ dappertutto, comincia a reagire sul piano politico al condizionamento che intuisce, inizialmente con un rifiuto verso tutto e tutti, ma poi tendendo istintivamente a coagularsi verso coloro che son visti come meno responsabili, perché sono stati sostanzialmente esclusi da ogni reale potere negli ultimi decenni : le destre. E ci sono anche altri elementi obbiettivi che giustificano questa tendenza. Il patriottismo, un connotato tradizionale della gente di destra, è un evidente antidoto al globalismo internazionale, la proprietà privata personale un argine all’arbitrio statale ed alla finanza anonima e delocalizzata, la tradizione una memoria storica che permette di avvertire e comparare i nuovi pericoli. I milioni di cittadini che hanno cominciato o ripreso a votare a destra in Europa e nelle Americhe (ma anche in Russia, Giappone e molti altri paesi) cercano a tentoni di sfuggire ad una situazione in cui vedono sempre più sfuggire libertà personali e democrazia, verso entità percepite come lontane e nascoste (e che sono lontane e nascoste) persone che vedono annullate le loro caratteristiche, peculiarità e individualità in favore di una indistinta ed indifferenziata moltitudine senza storia e memoria. A destra oggi si difende la libertà di differenza, si difende la persona dall’annullamento.
Libertà individuali e garanzie democratiche
Perfino nei paesi in cui non si riesce a praticare ancora la democrazia rappresentativa (la più difficile e storicamente lenta delle conquiste) certi regimi autoritari cambiano di significato se sono visti come rimedio necessitato contro esiti compiutamente totalitari (e ricordo solo le demenziali solidarietà internazionali all’ayatollah Khomeini contro lo shah di Persia). A destra dunque, ma una destra consapevole. Una destra che sappia comporre libertà individuale e garanzie democratiche nella Nazione, che non mitizzi il concetto di governo in quello di stato e veda nel concerto delle nazioni e non nel loro asservimento il necessario dialogo internazionale a tutela della pace. Una destra pragmatica, di destre che sappiano dar vita anche a rapporti internazionali tra loro, proprio per difendere un indipendenza sempre minacciata dalle organizzazioni programmaticamente sovra nazionaliste, una destra che sappia maneggiare quelle competenze tecniche che vengono abusivamente utilizzate dai tecnocrati come potere sapienziale, per imporre come assolutamente necessarie scelte invece solo di interesse castale. Una destra aperta al futuro, che recuperi quell’eterno e irrequieto spirito occidentale di conquista e progresso che ci ha permesso di crescere e migliorare, contro la pericolosa tendenza al ripiegamento rinunciatario e regolamentato, che, comunque lo si chiami (crescita zero o decrescita felice), finirebbe per trasformare il mondo in una desolata prigione. Una destra che sappia conquistare lo Spazio per darci un futuro e farlo per tutti, proprio anche grazie a quelle differenze, che vuole e deve difendere.
No alla subalternità culturale
A cominciare dall’Occidente stesso, la cui “differenza” resta la maggior garanzia di dinamicità e libertà del mondo e per finire con l’Europa, che solo difendendo la sua specificità potrà continuare ad esistere come tale. Lo capiranno le destre a cominciare da quella italiana? Sapranno sottrarsi a quegli elementi di subalternità culturale a certi miti della sinistra ancora persistenti ? Me lo auguro, per la salvezza di tutti, Quel che ci occorre è una destra Liberal-nazionale, aperta al mondo, ma gelosa di sé e della sua storia. Perché è sulla frontiera Liberal-Nazionale, che ci si difende tanto dall’oscurantismo, che dal capital-comunismo.